domenica 29 giugno 2008

Shamalayaaaaaan

Visto ieri "E venne il giorno" di M. Night Shyamalan. Film paranoico e simbolico come suo solito. Inquietanti analogie con il finto trailer che ci ha fatto conoscere il talento di Maccio Capatonda.

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sabato 28 giugno 2008

venerdì 27 giugno 2008

Terribili vecchietti del rock


Ladies and gentlemen, ecco Glenn Hughes e David Coverdale. Sono praticamente coetanei: Glenn è nato nel 1952, David nel 1951. Cantano entrambi, con voci molto diverse. David ha un vocione blues di clamorosa intensità. Glenn ha una voce più aspra ma fenomenale e, per giunta, è un grandissimo bassista.

Nella metà degli anni Settanta furono la benzina della spompata astronave dei Deep Purple orfani di Ian Gillan e Roger Glover. Il primo dei tre dischi che incisero con gli autori di "In Rock" è ancora un classico megagalattico: "Burn", anno domini 1974.

Non durò granchè: i Purple, in piena fase discendente, si sciolsero all'inizio del 1976. Nel frattempo, i nostri amici - due che, in quanto ad ego, mica scherzano - si contendevano il ruolo di prima donna della band. Da quel momento non si incrociarono mai più. David fondò di lì a poco gli Whitesnake, con cui guadagnò ulteriore fama e ricchezza. Glenn ebbe una carriera più errabonda e discontinua, zavorrata dai troppi abusi, ma nell'ultimo decennio è rinato sotto il profilo artistico e umano.

Tutto questo per dire che i due signori che vedete là sopra, ultracinquantenni forse un po' ridicoli nel tentativo di simulare una giovinezza che non c'è più, sono tutt'altro che pronti per la pensione.
Coverdale, infatti, ha ritirato fuori dalla naftalina gli Whitesnake, che sembravano finiti negli anni Novanta, e ha inciso un discone che più classico di così non si potrebbe: "Good to be bad", un distillato di scintillante hard-blues nel solco delle migliori prove del Serpente Bianco. Brani tirati, ballate superromantiche, schitarrate furiose e l'inconfondibile e caldissimo timbro del nostro biondo quasi sessantenne.

Glenn, che per tutti è "the voice of rock", dal canto suo, conserva imperterrito lo stato di grazia degli ultimi dischi. "First underground nuclear kitchen" mantiene le promesse del suo acronimo: funk dalla prima all'ultima nota, impossibile rimanere fermi. Le ritmiche, tra il basso di Hughes e la batteria del Red hot Chili Pepper Chad Smith, pulsano che è una bellezza. E anche in questo caso, il vezzoso cantante/bassista estrae dal cilindro una prova maiuscola per intensità e feeling.

L'unico mio dubbio riguarda la gerontocrazia che si è instaurata anche nel mondo del rock. Come è possibile che i cinquantenni (e oltre) riescano ancora a mettere in riga le nuove band?
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mercoledì 25 giugno 2008

Un libro dal profondo Nord (quello vero)

Ecco un altro libro che torna nello scaffale dopo avermi fatto compagnia per qualche giorno. Stavolta si trattava di una prima assoluta, non avendo mai letto nulla di scrittori finlandesi. Grazie all’intercessione della mitica Han, che me l’ha regalato, ho conosciuto l'autore Arto Paasilinna e uno dei suoi titoli più noti: «Il mugnaio urlante», edizioni Guanda.

Siamo nella metà degli anni Cinquanta. Un uomo arriva in un villaggio del nord della Finlandia e si insedia nel vecchio mulino. Si rimbocca le maniche e lo rimette in funzione. Ammalia i bambini del villaggio con i suoi racconti e le imitazioni degli animali. Grazie all'aiuto di una consulente di cui si innamora, impianta un piccolo orto. Ma è, sotto certi aspetti, un “diverso” e il villaggio non lo vede di buon occhio. I suoi comportamenti poco convenzionali (di notte, per esempio, si mette ad ululare) gli scateneranno contro le ire degli abitanti, causandogli guai (quasi) infiniti.

Senza tanti giri di parole, il libro è stata una lettura interessante. A volte indulge troppo in certe descrizioni “agresti”, che sono comunque utili per presentare un mondo tanto lontano dal nostro come le campagne finlandesi di 50 anni fa. C’è una sottile ironia di fondo, ma davvero sottile: è chiaro l’intento satirico dell’autore verso il conformismo del villaggio e l’esclusione di un estraneo che, alla fine, non ha davvero molte più stranezze degli altri e aspira solo a vivere libero. Il quadro generale e i personaggi di contorno sono la cosa migliore del “Mugnaio urlante”: Paasilinna tratteggia l’appiattimento della comunità con abilità e occhio feroce. Mi ha convinto meno il personaggio principale: un uomo istintivo che si rovina quasi con le sue stesse mani. Incapace di adeguarsi al modello sociale del villaggio, il mugnaio non si ferma mai a riflettere sulle azioni impulsive che gli causano ogni volta ulteriori problemi. Il finale riscatta in qualche modo il tono amaro in cui, pagina dopo pagina, affonda la storia.
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lunedì 23 giugno 2008

Gli idoli dei Gggiovani

La nuova speranza della musica italiana, Dari. C'è bisogno di aggiungere altro? Forse che, pochi giorni fa, l'ho beccato alla tv su All Music. Cantava dal vivo ed era francamente imbarazzante. L'industria musicale italiana è proprio malridotta se cerca di vendere 'sta roba.

"Il cellulare ce l'ho già spento perchè sei troppo sbattimento"... Prego notare il resto della band.

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Variazioni sul tema (verde)



Avevo voglia di giocare un po' col computer (I know, sono scarso come photoshopper).. Continua a leggere

«Io, prigioniero di un quartiere assurdo»

Una sedia a rotelle in incerto equilibrio su un marciapiede sgarrupato: è la situazione-tipo dei filmati che Salvatore, disabile fiorentino di 35 anni, ha caricato sul sito di You Tube. Sono sei spezzoni di pochi minuti che mostrano come gli spostamenti quotidiani possano diventare una versione perversa di Giochi senza Frontiere per chi non può usare le proprie gambe. Siamo nelle strade comprese tra viale Piombino e via Canova, nel popoloso quartiere dell’Isolotto.

«Ho voluto mostrare cosa devo affrontare tutti i giorni – dice Salvatore, un lavoro all’archivio della questura – Ora che c’è bel tempo ed esco di più, la paura che qualche macchina mi metta sotto è più forte». Insieme all’amico Ilario - col quale è cresciuto tra quei palazzi sorti in fretta e furia alla metà degli anni Settanta - ci accompagna nel piccolo tour della barriera architettonica che i due hanno ripreso e messo su You Tube. Partiamo da viale Etruria, dove le auto sfrecciano verso l’inizio della FiPiLi. Salvatore abita poche strade più giù, in via Simone Martini: basterebbe prendere via Livorno, pochi metri e sarebbe a casa.

Sembra facile, ma il marciapiede non solo è strettissimo ma é così dissestato da costringere Salvatore a muoversi direttamente sulla strada: le auto che girano in via Livorno lo sfiorano. Proseguiamo in via dei Bassi: negli attraversamenti pedonali non ci sono gli scivoli. O, beffardi, se ci sono da una parte, mancano dall’altra. Poco più in là, oltre un paio di lastre malmesse che renderebbero impossibile la scalata della carrozzella, ecco una bella buca: «Qui Salvatore si è rovesciato mentre giravamo uno dei video», racconta Ilario. «In queste strade non è mai stato fatto un intervento da quando hanno costruito», aggiunge. Non è difficile crederlo: nel giardinetto di fronte, le radici degli alberi hanno spaccato la pavimentazione creando su e giù degni delle montagne russe.

«Dopo che mi sono lamentato su Radio Studio 54, – dice ancora Ilario – hanno almeno eliminato le basi di cemento dei lampioni». Ma non tutte, così i marciapiedi strettissimi all’altezza dell’orto della Fattoria dei Ragazzi – condizioni pietose a parte - non servono a nulla: una mamma con carrozzina preferisce evitarli, mentre le auto che girano da via Canova scendono per una pericolosa strettoia. Ecco, dulcis in fundo, la parte finale di via de’Bassi, ripidissima: forse solo l’incredibile Hulk riuscirebbe a trascinarsi in cima a colpi di braccia o a non finire schiantato percorrendola in discesa. Non solo, da via Canova gira il pulmino dell’Ataf, linea 44: un’altra incognita per un tragitto che presenta già parecchie trappole.

All’angolo, infine, di scivolo manco a parlarne. Anzi, il marciapiede rasenta la base del semaforo: Salvatore, per raggiungere il supermercato dall’altra parte della strada, dovrebbe fare l’acrobata. «Abbiamo cercato il Comune, le Iene e Striscia, ma senza esito», dice Ilario. «Così abbiamo deciso che You Tube era l’unica maniera per far vedere a tutti la situazione - conclude Salvatore – In questo quartiere ci sono, per esempio, molti anziani che hanno problemi a camminare: i problemi non li vivo solo io».

(Da "Il Firenze" del 23 giugno 2008)

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domenica 22 giugno 2008

Elio e le Storie Tese - Ignudi fra i nudisti

La canzone non è tra le cose più memorabili degli Elii. Ma il video, ancora una volta girato dal mitico Maccio Capatonda, è una piccola perla. Il finale è geniale!

Ps. Una curiosità: il brano è la versione al contrario di questa canzone di Elvis.

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venerdì 20 giugno 2008

Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande...

Dopo sei mesi abbondanti trascorsi nella culla del Rinascimento, sarei fortemente tentato di lanciarmi in una apocalittica invettiva contro Firenze e i suoi abitanti. Ma, venendo da Cagliari (che non è esattamente lo stato dell'arte sia come qualità architettonica sia come livello di civiltà di amministratori e abitanti), evito di intraprendere il sentiero della all-out war. Mi limiterò ad alcune osservazioni iniziali scaturite dalla mia esperienza quotidiana.

Prima di tutto: Firenze è una città strangolata dalle automobili. Il trasporto pubblico, che comunque non funzionerebbe male per organizzazione, capillarità e frequenza delle corse, è praticamente inutile. Quasi non esistono le corsie differenziate, quindi l'autobus è sempre prigioniero del fiume di automobili che si riversano nei viali che cingono il centro storico. Risultato: da casa mia, in una giornata normale, impiegherei massimo un quarto d'ora per arrivare in centro. In giorni come questi, dove la città è in stato d'assedio per Pitti Uomo, posso metterci anche 45 minuti, se non un'ora. Ovviamente l'odissea si replica al ritorno. Bisogna riconoscere che le linee che si diramano verso le periferie funzionano bene, ma passando tutte per la stazione di Santa Maria Novella, in centro bisogna comunque arrivare per prenderle.
Di notte, poi, sei fottuto. Non esiste un servizio di linea notturno. Gli autobus a più lunga percorrenza diradano le corse fino a mezzanotte e qualcosa: così partono carichi come carri bestiame. Se per caso decidi di scendere in centro e fai tardi, all'una di notte non hai alternative: o taxi, se lo trovi, o pedibus calcantibus fino a casa. Perchè, giustamente, in centro non puoi entrare con l'auto. Ma il numero di parcheggi nelle aree limitrofe è ridicolo. Però l'autobus non è un'opzione affidabile. E allora?

Non parliamo delle bici. Le piste ciclabili ci sono, soprattutto nei viali suddetti. Ma nelle altre strade il rischio di essere stirati è costante, soprattutto a causa della barbarie di automobilisti e scooteristi. Tra l'altro, in città, il numero di furti di bicicletta è altissimo, come è altrettanto alto quello di ferrivecchi inutilizzati, lasciati ad arruginire nelle rastrelliere pubbliche dove si potrebbe parcheggiare il mezzo.

Certo, che pretendo, siamo in Italia. Ma quando penso che Firenze passa per uno dei fiori all'occhiello del centrosinistra al governo e invece sembra in tutto e per tutto una città amministrata coi piedi...

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giovedì 19 giugno 2008

Runnin' Gigi

Ecco ancora il mio irresistibile coinquilino. In questa scena è parecchio indeciso sul da farsi. Quando parte sulla ruota rimango affascinato.

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mercoledì 18 giugno 2008

I privilegi del giornalista

Quando inizi a girare per conferenze stampa e a lasciare in giro il tuo indirizzo email e il tuo numero di cellulare, sai che presto inizierai a ricevere telefonate assurde e note stampa sul più strampalato scibile comunicabile.

Ecco un fantastico esempio. Si parla di mucche e non di automobili.

«Dopo le tappe di Roma, Firenze e Piacenza si è concluso con grande successo il XVIII Congresso Mondiale degli allevatori della razza Limousine, promosso dall’Anacli, l’Associazione Nazionale Allevatori delle razze bovine Charolaise e Limousine. L’evento ha saputo combinare aspetti tecnici e turistici, in un mix che ha conquistato i 250 partecipanti, provenienti da: Argentina, Australia, Belgio, Canada, Cile, Danimarca, Francia, Galles, Germania, Inghilterra, Irlanda, Lussemburgo, Messico, Nuova Caledonia, Nuova Zelanda, Olanda, Portogallo, Scozia, Sud Africa e Usa.

Alla manifestazione hanno dato il loro contributo il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, la Regione Toscana, la Regione Lazio, la Provincia di Firenze e la Provincia di Viterbo, le camere di Commercio di Firenze, di Piacenza e di Viterbo, il Comune di Piacenza.

Durante la manifestazione si sono succeduti numerosi interventi da parte di relatori accomunati dalla sensibilità nei confronti delle tematiche dell’allevamento del bovino da carne. Una attività che, oggi, costituisce una seria risposta alle esigenze di valorizzazione economica del territorio tanto più valida quando venga praticata garantendo elevati standard di qualità e di sicurezza alimentare.

Il Congresso è stata anche l’occasione per visitare alcune aziende rappresentative della realtà della Limousine nel nostro Paese, che hanno accolto anche capi provenienti da molti altri allevamenti. Le visite hanno messo i convegnisti nelle condizioni di poter appurare la qualità del bestiame allevato in Italia e le diverse modalità di allevamento che si rinvengono nel Paese per la Limousine.»

(Unica consolazione: Virgin Classic manda "Paradise city" dei Guns'n'Roses)

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Il mio coinquilino

Ecco il simpatico personaggio che anima le giornate in cui mi capita di stare prevalentemente a casa. Il piccolo criceto Gigi è una specie di bidone aspiratutto. Io lo chiamo "topo agitato", perché quando sente odore di cibo, inizia a scalmanarsi come se non mangiasse da sei mesi. E invece è un ciccione. Qui è alle prese con una delle sue pietanze preferite: un popcorn, che per lui è un pasto intero (povero, pesa 75 grammi!).

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martedì 17 giugno 2008

Huckleberry Finn


Ho appena finito di leggere "Le avventure di Huckleberry Finn" di Mark Twain. Non so perchè mi sia venuta la voglia di tornare, a distanza di almeno 25 anni dal primo contatto, su questo libro. Me lo sono trovato davanti al supermercato e, con solo 3,90 euri, me lo sono portato a casa. Tra l'altro l'edizione (Newton Compton) sfoggia una nuova traduzione e un'edizione rinnovata che comprende alcuni episodi "tagliati" nelle precedenti traduzioni italiane.

La lettura si è protratta per qualche settimana, preso come sono tra le mille cose da leggere che mi ritrovo per la casa. Ma il libro è stato una sorpresa. Come i veri romanzi per l'infanzia, è godibile a un livello molto elementare ma è tutto fuorché una storia per bambini: in modo vivido e a volte crudele racconta l'America attraverso un ambiente di "frontiera" come la sponda del Mississippi e un personaggio fuori dagli schemi come il randagio Huck, che fa da travolgente voce narrante.

Huck è un vero "ribelle", uno che non riesce a vivere imprigionato nelle convenzioni sociali. A differenza dell'amico del cuore Tom Sawyer - che è un monello ma di buona famiglia, un borghese che cerca emozioni ma poi torna a casa quando si stanca delle sue ingegnose trovate per mettersi nei guai - Huck è un piccolo Odisseo affascinato dall'avventura, dalla curiosità di scoprire e dalla voglia di spingersi sempre oltre un piccolo confine. Pur essendo incolto, ha una sua saggezza che nasce dalle disastrose esperienze familiari e dalle peripezie: cerca di togliersi dai guai in cui si caccia mediante l'uso spregiudicato della parola (riprodotta molto bene dalla traduzione di Riccardo Reim) e la sua furbizia. Sotto tanti aspetti è un "puro": uno spirito libero il cui richiamo più ovvio è il giovane Holden di Salinger. A me ha ricordato pure un altro personaggio indimenticabile di un libro letto di recente: l'Accio Benassi del "Fasciocomunista" di Pennacchi, un altro romanzo che mi è davvero piaciuto forse perché solletica la mia sotterranea antipatia nei confronti di chi ragiona per ideologie e imperativi.

Nei capitoli conclusivi emerge la distanza tra i due amici: devono liberare l'amico negro Jim, imprigionato nella piantagione della zia di Tom. Sarebbe un gioco da ragazzi. Ma Tom, inebriato dalle sue letture avventurose, cerca di complicare la missione e renderla una vera evasione degna del conte di Montecristo (costringendo il prigioniero a tollerare la sua voglia di gioco), mentre Huck preferirebbe andare dritto al sodo e restituire subito la libertà al compagno della sua fuga lungo il fiume (anche se è uno schiavo e per giunta fuggiasco).

Preso dalla voglia di approfondire, ho fatto una ricerchina veloce su Google. Ho trovato (a questo indirizzo), la trascrizione di un vecchio programma Rai in cui lo scrittore Maurizio Braucci dialoga con alcuni studenti sul significato del romanzo di Twain. Dice Braucci: "Huckleberry Finn è un romanzo per persone che hanno uno spirito giovane, per tutti coloro che non cadono nell'ammuffimento del pensiero, della quotidianità e che si interrogano sul da farsi in ogni situazione, pensando con la propria testa e cercando una soluzione che abbia una valenza positiva. La nostra civiltà ci propone valori positivi che sono ideologizzati e che dobbiamo accettare forzatamente senza avere il privilegio di sperimentarli di persona, di sottoporli ad un'analisi individuale. Essi ci vengono forniti già confezionati impedendo, così, all'individuo di crescere nell'esperienza e di sviluppare un proprio pensiero."

Non avrei saputo dirlo meglio.

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DMZ: due chiacchiere con Riccardo Burchielli

Un toscano alla corte di Superman e Batman. Riccardo Burchielli, da Peccioli in provincia di Pisa ma fiorentino d’adozione, sta coronando il “sogno americano” di tanti disegnatori di fumetti: lavora per la Dc Comics, una delle più grandi case editrici del mondo, quella che pubblica le avventure dei supereroi storici.

Dal 2005, infatti, con lo sceneggiatore americano Brian Wood Burchielli sta realizzando la serie intitolata “Dmz” per l’etichetta Vertigo, il marchio della Dc «che pubblica le storie con temi più crudi e maturi», come spiega il disegnatore. Negli albi di “Dmz”, sigla inglese che sta per “zona demilitarizzata”, non ci sono eroi in calzamaglia e minacce cosmiche: «È una storia con solide radici nell’attualità - dice l’autore - Ci siamo chiesti che succederebbe se la stessa guerra che c’è oggi a Baghdad o in altre città del medio Oriente scoppiasse in una delle nostre città».

Fantapolitica ma non troppo, insomma: nel corso di una seconda guerra civile americana un giovane giornalista praticante si ritrova bloccato a Manhattan, diventata la terra di nessuno (la Dmz del titolo) che divide i due eserciti in guerra. «Oltre lo sguardo un po’ satirico, Dmz è anche un racconto d’avventura», osserva Burchielli. La serie, pubblicata con successo in Italia da Planeta De Agostini, oltre oceano è stata recensita dalle riviste di letteratura e dai principali quotidiani: «Negli Usa hanno maggiore considerazione per il fumetto come forma d’intrattenimento e le raccolte in volume vendono davvero tanto». Burchielli, classe 1975, vive a Firenze dal 2001: «Sono innamorato di questa città», dice. Negli ultimi mesi però ha vissuto a New York e ci tornerà ancora nel 2009: «Con Internet è tutto più rapido, ma parlare di persona elimina la confusione che a volte si crea comunicando a distanza».

Da Firenze alla Grande Mela, la carriera fumettistica del disegnatore è stata fulminea: «Lavoravo come art director in un’agenzia di pubblicità – ricorda – Iniziai a disegnare nel 2003 ed esordii con tre storie per John Doe, il personaggio dell’Eura editoriale». Ma non era semplice: «Ero stanco, mantenere due lavori era faticoso: ho lasciato l’agenzia per vedere come andava col fumetto». Un piccolo colpo di fortuna spinse le cose nella direzione giusta: «Nel 2003, quando ancora non avevo finito la prima storia per John Doe, Will Dennis, il redattore più importante della Vertigo, vide le mie tavole alla Comic convention di Napoli – racconta – Ci siamo sentiti spesso e nel 2005 abbiamo iniziato a lavorare su Dmz».

In America «in questo momento sono molto presi dallo stile europeo e sudamericano»: «Molti italiani lavorano per la Vertigo: abbiamo una maniera diversa di disegnare che predilige l’atmosfera del racconto allo stupore della tavola da supereroi che riempie l’occhio e fa spettacolo». Pur facendo dell’immaginazione il suo pane quotidiano, l’autore di Peccioli non dimentica da dove viene: «C’è un po’ di Toscana in tutto quello che faccio – dice - Nei miei disegni c’è soprattutto qualcosa della mia vita, dettagli che mi diverto a mettere qua e là per far ridere i miei amici».

(Da "Il Firenze" del 2 giugno 2008). Continua a leggere

Pudicizia informativa

Temevo che oggi, giorno della solita partita da infarto della nostra nazionale di calcio, lo sport oscurasse qualsiasi altra notizia.
Mentre scrivo, invece, le aperture dei siti dei tre principali quotidiani italiani riguardano questioni decisamente meno frivole: il decreto salva-premier e il patto boss-massoni per bloccare i processi. Ora sono in attesa del solito TG1, sempre pronto a regalarci fantastiche sorprese: di sicuro il servizio da Londra racconterà le abitudini sessuali della principessa Diana o riprenderà il peto del principino.
Intanto, in Sicilia, il centrosinistra ancora inebetito dalla sconfitta di aprile incassa un bel 0-8 e anche in Sardegna, per quanto il voto coinvolgesse molti meno elettori, il centrodestra spopola perfino nelle zone dove la sinistra ha governato per 30 anni. Il Pd però ha problemi più seri da affrontare: cambiare sede...

(In sottofondo il magnifico ritorno degli Whitesnake: com'è che 'sti gruppi di vecchi continuano a rockeggiare alla grande? Ecco un esempio.)
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lunedì 16 giugno 2008

Silvio, chiudiamo i giornali e finiamola qui

Il lucido intervento di Marco Travaglio sul "pasticcio intercettazioni" ordito dal funambolico governo Berlusconi. Visto che l'informazione è il mio lavoro - ma ho anche una pessima opinione della categoria dei giornalisti - mi chiedo quanti colleghi aderiranno alla protesta innescata da Travaglio.

L’altro giorno, fingendo di avanzare un’«ipotesi di dottrina», Giovanni Sartori ha messo in guardia sulla Stampa dai «dittatori democratici» e ha spiegato: «Con Berlusconi il nostro resta un assetto costituzionale in ordine, la Carta della Prima Repubblica non è stata abolita. Perché non c’è più bisogno di rifarla: la si può svuotare dall’interno».
«Si impacchetta la Corte costituzionale, si paralizza la magistratura. si può lasciare tutto intatto, tutto il meccanismo di pesi e contrappesi. E di fatto impossessarsene, occuparne ogni spazio. Alla fine rimane un potere 'transitivo' che traversa tutto il sistema politico e comanda da solo».

Non poteva ancora sapere quel che sarebbe accaduto l'indomani: il governo non solo paralizza la magistratura, ma imbavaglia anche l'informazione abolendo quella giudiziaria. E, per chi non avesse ancora capito che si sta instaurando un regime, sguinzaglia pure l'esercito per le strade. Nei giorni scorsi abbiamo illustrato i danni che il ddl Berlusconi-Ghedini-Alfano sulle intercettazioni provocherà sulle indagini e i processi. Ora è il caso di occuparci di noi giornalisti e di voi cittadini, cioè dell'informazione. Che ne esce a pezzi, fino a scomparire, per quanto riguarda le inchieste della magistratura.
Il tutto nel silenzio spensierato e irresponsabile delle vestali del liberalismo e del garantismo un tanto al chilo. Che, anzi, non di rado plaudono alle nuove norme liberticide.

Non si potrà più raccontare nulla, ma proprio nulla, fino all'inizio dei processi. Cioè per anni e anni. Nemmeno le notizie «non più coperte da segreto», perché anche su quelle cala un tombale «divieto di pubblicazione» che riguarda non soltanto gli atti e le intercettazioni, ma anche il loro «contenuto». Non si potrà più riportarli né testualmente né «per riassunto».

Nemmeno se non sono più segreti perché notificati agli indagati e ai loro avvocati. Niente di niente. L'inchiesta sulla premiata macelleria Santa Rita, con la nuova legge, non si sarebbe mai potuta fare. Ma, anche se per assurdo si fosse fatta lo stesso, i giornali avrebbero dovuto limitarsi a comunicare che erano stati arrestati dei manager e dei medici: senza poter spiegare il perché, con quali accuse, con quali prove.

Anche l'Italia, come i regimi totalitari sudamericani, conoscerà il fenomeno dei desaparecidos: la gente finirà in galera, ma non si saprà il perché. Così, se le accuse sono vere, le vittime non ne sapranno nulla (i famigliari dei pazienti uccisi nella clinica milanese, che stanno preparando una class action contro i medici assassini, sarebbero ignari di tutto e lo resterebbero fino all'apertura del processo, campa cavallo). Se le accuse invece sono false (come nel caso di Rignano Flaminio, smontato dalla libera stampa), l'opinione pubblica non potrà più sapere che qualcuno è stato ingiustamente arrestato, né come si difende: insomma verrà meno il controllo democratico dei cittadini sulla Giustizia amministrata in nome del popolo italiano.

Chi scrive qualcosa è punito con l'arresto da 1 a 3 anni e con l'ammenda fino a 1.032 euro per ogni articolo pubblicato. Le due pene - detentiva e pecuniaria - non sono alternative, ma congiunte. Il che significa che il carcere è sempre previsto e, anche in un paese dov'è difficilissimo finire dentro (condizionale fino a 2 anni, pene alternative fino a 3), il giornalista ha ottime probabilità di finirci: alla seconda o alla terza condanna per violazione del divieto di pubblicazione (non meno di 9 mesi per volta), si superano i 2 anni e si perde la condizionale; alla quarta o alla quinta si perde anche l'accesso ai servizi sociali e non resta che la cella. Checchè ne dica l'ignorantissimo ministro ad personam Angelino Alfano.

E non basta, perché i giornalisti rischiano grosso anche sul fronte disciplinare: appena uno viene indagato per aver informato troppo i suoi lettori, la Procura deve avvertire l'Ordine dei giornalisti affinchè lo sospenda per 3 mesi dalla professione. Su due piedi, durante l'indagine, prim'ancora che venga eventualmente condannato. A ogni articolo che scrivi, smetti di lavorare per tre mesi. Se scrivi quattro articoli, non lavori per un anno, e così via.Così ti passa la voglia d'informare. Anche perché, oltre a pagare la multa, finire dentro e smettere di lavorare, rischi pure di essere licenziato.


D'ora in poi le aziende editoriali dovranno premunirsi contro eventuali pubblicazioni di materiale vietato, con appositi modelli organizzativi, perché il «nuovo» reato vien fatto rientrare nella legge 231 sulla responsabilità giuridica delle società. Significa che l'editore, per non vedere condannata anche la sua impresa, deve dimostrare di aver adottato tutte le precauzioni contro le violazioni della nuova legge. Come? Licenziando i cronisti che pubblicano troppo e i direttori che glielo consentono. Così usciranno solo le notizie che interessano agli editori:quelle che danneggiano i loro concorrenti o i loro nemici (nel qual caso l'editore si sobbarca volentieri la multa salatissima prevista dalla nuova legge, da 50 mila a 400 mila euro per ogni articolo, e accetta di buon grado il rischio di veder finire in tribunale la sua società).

La libertà d'informazione dipenderà dalle guerre per bande politico-affaristiche tra grandi gruppi. E tutte le notizie non segrete non pubblicate? Andranno ad alimentare un sottobosco di ricatti incrociati e di estorsioni legalizzate: o paghi bene, o ti sputtano. Ultima chicca: il sacrosanto diritto alla rettifica di chi si sente danneggiato o diffamato, già previsto dalla legge attuale, viene modificato nel senso che la rettifica dovrà uscire senza la replica del giornalista. Se Tizio, dalla cella di San Vittore, scrive al giornale che non è vero che è stato arrestato, il giornalista non può nemmeno rispondere che invece è vero, infatti scrive da San Vittore. A notizia vera si potrà opporre notizia falsa, senza che il lettore possa più distinguere l'una dall'altra. Tutto ciò, s'intende, se i giornalisti si lasceranno imbavagliare senza batter ciglio.

Personalmente, annuncio fin d'ora che continuerò a informare i lettori senza tacere nulla di quel che so. Continuerò a pubblicare, anche testualmente, per riassunto, nel contenuto o come mi gira, atti d'indagine e intercettazioni che riuscirò a procurarmi, come ritengo giusto e doveroso al servizio dei cittadini. Farò disobbedienza civile a questa legge illiberale e liberticida. A costo di finire in galera, di pagare multe, di essere licenziato. Al primo processo che subirò, chiederò al giudice di eccepire dinanzi alla Consulta e alla Corte europea la illegittimità della nuova legge rispetto all'articolo 21 della Costituzione e all'articolo 10 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo e le libertà fondamentali («Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione.

Tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche», con possibili restrizioni solo in caso di notizie «riservate» o dannose per la sicurezza e la reputazione). Mi auguro che altri colleghi si autodenuncino preventivamente insieme a me e che la Federazione della Stampa, l'Unione Cronisti, l'associazione Articolo21, oltre ai lettori, ci sostengano in questa battaglia di libertà. Disobbedienti per informare. Arrestateci tutti.

(da "L'Unità" di oggi)
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In un uggioso pomeriggio fiorentino...

E tre. Ritentiamo l'avventura del blog per la terza volta. I miei precedenti esperimenti si sono arenati dopo poche settimane: ci vuole troppa costanza per portare avanti uno di questi affari. E la costanza non è una di quelle doti che mi distinguono.
Ma proviamoci one more time: musica a palla (i vetusti Uriah Heep nel loro ultimo sforzo discografico), il criceto che cerca una più idonea posizione per dormire, le nuvole che mi fanno passare la voglia di andare a nuotare anche oggi.
In teoria si inaugura un blog con una sana dichiarazione di intenti. O così ho sempre pensato. La cosa mi ha sempre messo in difficoltà: se prometto che farò una cosa, dovrò farla. Ma poi, regolarmente, non ci riesco. Così l'unico programma che posso fare per questo blog che non verrà letto da nessuno è: sarai la mia valvola di sfogo. Scriverò delle cose che leggo, che ascolto e che faccio per lavoro. Un po' di cazzi miei, insomma. E che vada avanti finché avrò voglia.

(Intanto Media Monkey mi propone i Black Widow e io, pacatamente serenamente, faccio gesti apotropaici).
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