giovedì 1 ottobre 2009

I "miei" Giacobbo Facts


Da qualche giorno, sull'effervescente Twitter impazzano i Giacobbo Facts, cioè la versione nostrana dei Chuck Norris Facts che, da qualche anno, sono un vero e proprio fenomeno goliardico della Rete (migrati recentemente anche su Facebook, a giudicare dal numero di "amici" che postano le fantasiose imprese del Texas Ranger).
Nel mio piccolo, da cultore del trash di Voyager, mi sono dilettato anche io in qualche freddura sul conduttore/esploratore profeta del 2012. Eccoli qui, dopo il saltino (in continuo aggiornamento).

* Inspiegabile fenomeno a casa Giacobbo: bastano pochi giorni e appaiono misteriosi cerchi nella polvere.

* A casa Giacobbo, la domenica, le pastarelle le portano i Templari.

* Da bambino, Giacobbo si esercitava all'hula hoop coi cerchi nel grano.

* Quando era piccolo, Giacobbo ha imparato a disegnare tracciando le Linee di Nazca.

* Quando sono annoiati, gli alieni fanno gli scherzi telefonici a Giacobbo.

* Da bambino, Giacobbo chiedeva sempre alla mamma di comprargli i chupa chupacabras.

* Giacobbo non guida più da quando ha fatto un frontale con un Ufo a Roswell.
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martedì 4 agosto 2009

Ufo alla radio fiorentina


Sabato scorso, su invito del mio contatto Facebook Davide Belperio, ho partecipato a una trasmissione di Lady Radio dedicata a Ufo e Alieni (tema estivo!). Questo è il risultato di tale sproloquio...Cliccate sul player...



Malanga, cultisti, contattisti, gli ufo su Firenze: insomma, le solite minchiate!
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martedì 14 luglio 2009


Con qualche "distinguo" che trovate dopo il saltino.

Posizioni condivisibili: quella di Paolo Attivissimo e quella di Michela Murgia.

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lunedì 29 giugno 2009

Fan sull'orlo di una crisi di nervi



Dall'Unione Sarda di ieri e oggi, pagina dei necrologi.
Fan demoliti dal dolore o semplici approfittatori? Continua a leggere

domenica 28 giugno 2009

Alcune domande a Meridiana e Aeroporto di Firenze (visto che va di moda...)

1) Con l’equipaggio incompleto a causa dell’improvvisa “malattia” tattica degli assistenti di volo, il comandante è obbligato a limitare il numero dei passeggeri accettati a bordo per ragioni di sicurezza. La situazione problematica del volo Meridiana Firenze-Cagliari del 26 giugno era nota dal primo pomeriggio: questo è attestato dal sito dell’aeroporto, che annunciava un ritardo già dalle ore 17, e dalle successive testimonianze dell’albergo che ha ospitato alcuni dei viaggiatori appiedati e dei passeggeri che invece sono stati invitati a recarsi al check in “il più presto possibile”. Dunque, un numero imprecisato di viaggiatori sui 132 in lista è stato avvisato per tempo del disguido e ha avuto la possibilità di effettuare il check in con sufficiente anticipo o scegliere una soluzione alternativa. Perché, però, la compagnia non si è sentita in dovere di avvertire TUTTI i passeggeri e ha permesso che 32 persone arrivassero all’aeroporto completamente ignare della situazione?

2) Come é possibile che la compagnia aerea Meridiana, considerata la situazione, non abbia ritenuto opportuno mettere a disposizione un suo delegato ufficiale e abbia invece preferito farsi rappresentare da una dipendente di AdF (tale signorina Ester, è stato impossibile identificarla) che non ha fornito alcuna assistenza materiale (neanche un bicchiere d’acqua, per dirne una) ai passeggeri appiedati e ha opposto resistenza a qualsiasi richiesta di chiarimento e approfondimento della situazione? Meridiana accetta che chicchessia possa fare le sue veci e apportare danni alla sua immagine con una condotta negligente?

3) Chi ha deciso che l’unica “protezione” possibile per i viaggiatori del Firenze-Cagliari era il trasferimento sul volo Torino-Cagliari previso alle14,20 di sabato 27 giugno? E chi – Meridiana o la sua “rappresentante per conto di AdF, ha definito i tempi del trasferimento in autobus, sottovalutando la distanza che separa le due città e i tempi di percorrenza in un sabato mattina estivo congestionato dal traffico autostradale?


4) Sui 32 lasciati a terra per overbooking, 16 passeggeri hanno accettato la “protezione” sul volo pomeridiano Torino-Cagliari di sabato 27 giugno, spinti dall’esigenza di arrivare nel capoluogo sardo in giornata per improrogabili impegni personali (testimoni di nozze, per esempio) e lavorativi (commercianti che dovevano chiudere contratti) e dopo aver ricevuto la garanzia che sarebbero partiti con quell’aereo. A tutti loro è stato rilasciato un regolare documento di viaggio, spedito anche alle caselle di posta elettronica di coloro che avevano acquistato il biglietto attraverso il sito Meridiana. Per quale motivo, allora, nessuno della compagnia aerea o di chi ne faceva le veci all’aeroporto di Firenze, ha ritenuto opportuno comunicare – per telex, per telefono o secondo le modalità che si adottano in questi casi - al Servizio passeggeri dell’aeroporto di Torino-Caselle (o al comandante del volo) che sulla tratta Torino-Cagliari delle 14,20 erano previsti un gruppo di passeggeri “protetti” in arrivo da Firenze? Perché nessun incaricato di Meridiana ha contattato l’autista dell’autobus per seguire l’andamento del trasferimento dei viaggiatori su Torino?

5) In quale maniera Meridiana intende risarcire il danno morale e materiale dei 16 passeggeri portati inutilmente a spasso per mezza Italia e alla fine costretti a ripiegare sul volo Torino-Cagliari delle 21,10, con la beffarda conseguenza che la destinazione è stata raggiunta nello stesso orario di coloro che hanno optato per il volo Firenze-Cagliari previsto alle 21,15 di sabato 27 giugno?
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Dall'Unione sarda: oltre 26 ore per raggiungere Cagliari da Firenze

Dall'UNIONE SARDA di domenica 28 giugno

L'avventura di 16 passeggeri che si dovevano imbarcare venerdì sera ma sono partiti ieri alle 21
Malattie improvvise degli assistenti di volo: ritardi a catena e denunce

Qualche volta un viaggio in aereo può essere più lungo ed infinitamente più tortuoso di una traversata in nave. Ne sa qualcosa un gruppo di 16 persone che sarebbero dovute partire da Firenze a Cagliari venerdì alle 21,15 con un volo Meridiana e che sono arrivati nel capoluogo 26 ore dopo, stremate e nervose dopo un'avventura cui, purtroppo, i sardi stanno facendo il callo.

Colpa di uno sciopero rinviato per la quinta volta e degli assistenti di volo che si mettono improvvisamente in malattia: il risultato è una inopinata riduzione dei posti a bordo e il solito gruppo di isolani che vaga in attesa di un volo alternativo. Che qualche volta decolla il giorno successivo.

«Siamo arrivati alle 20 in aeroporto, ma il check in era già stato chiuso», racconta Michele Fioraso, uno dei 32 passeggeri rimasti a terra. «Ci hanno spiegato che due membri dell'equipaggio si erano improvvisamente ammalati e che il comandante aveva dovuto ridurre il numero di posti a bordo». A quel punto la compagnia ha prospettato ai viaggiatori, imbulfaliti, alcune possibilità: prendere il volo del giorno successivo sempre alle 21,15 o cambiare città e tentare di partire prima.

«Sedici di noi hanno accettato la proposta di andare a Torino e salire sul volo delle 14,30 perché avevamo l'esigenza di rientrare al più presto a Cagliari. Dopo aver dormito in albergo, la mattina siamo saliti su un autobus per il capoluogo piemontese, dove siamo arrivati dopo cinque ore. Peccato», prosegue Fioraso, «che all'aeroporto non sapessero nulla di noi e che l'aereo fosse già in pista. Di responsabili di Meridiana nemmeno l'ombra. A darci una mano è stato un cortese responsabile dell'assistenza passeggeri della società di gestione dell'aeroporto di Caselle che ha prima verificato se fosse possibile bloccare l'aereo, poi ci ha prospettato la possibilità di partire sabato alle 21. Ovviamente abbiamo presentato un esposto alla polizia aeroportuale».

LE SCUSE DI MERIDIANA La compagnia aerea conferma il disservizio, si scusa ed invita i passeggeri a mandare un fax al numero delle relazioni clienti (0789/52927) per concordare la forma di risarcimento: «Purtroppo molti assistenti di volo si sono ammalati ed i comandanti hanno dovuto applicare le procedure che prevedono che per ogni 50 posti occupati ci sia un assistente di volo», spiega Loredana De Filippo. «I passeggeri sono stati riprotetti in diversi modi, ma non è stato facile visto che venerdì i voli sono tutti pieni. Abbiamo fornito l'albergo e il vitto a tutti e cercato le soluzioni possibili per farli viaggiare. Ci scusiamo con tutti e li invitiamo a contattarci: come minimo regaleremo un biglietto per una tratta nazionale».

Inflessibili i sindacati: «Visto il clima tesissimo che si è creato in azienda è ben possibile che i dipendenti abbiano ceduto allo stress», hanno fatto sapere venerdì. Uno stress trasferito ai sardi e ad altre centinaia di viaggiatori in tutta Italia. (f. ma.)
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sabato 27 giugno 2009

Sì, viaggiare...ma non con Meridiana!


Paghi 150 euro di biglietto ma non sei sicuro che arriverai a destinazione.
Ecco fresca fresca la mia esperienza surreale con il volo Firenze-Cagliari di Meridiana, un volo dove le sorprese sono all’ordine del giorno (lo dico per esperienza).

Il volo è previsto alle 21.15, ma già alle 17 il sito dell’aeroporto indica che subirà un ritardo di un’ora. Decidiamo comunque di presentarci in orario. Al banco del check in la prima sorpresa: non siamo tra i primi 100 fortunati passeggeri, ci lasciano a terra. “Ma perché?” “Hanno cambiato l’aereo e può imbarcare solo 100 persone: i primi che sono arrivati all’aeroporto”. E noi?

Man mano arrivano altre persone (l'ufficio stampa di Meridiana dirà poi che i segati sono 32). Dopo un po’ di vibrate proteste (con casi divertenti come un medico che doveva operare l’indomani al Brotzu lasciato a terra e una famiglia divisa: madre e figlia accettate, il padre resta invece giù), ecco arrivare una dipendente dell’aeroporto: in assenza di un rappresentante di Meridiana, che evidentemente aveva di meglio da fare, ci fornirà lei qualche informazioni. Le informazioni sono: chi vuole potrà ripartire l’indomani da Firenze e godrà di una notte spesata in albergo, chi invece deve proprio ma proprio partire potrà usufruire del volo da Torino. “Da Torino?!” Sì, è l’unico disponibile, a loro dire: partenza da Caselle alle 14, dopo almeno 4 fantastiche ore di autobus.

Inizia a montare la protesta, la versione ufficiale muta: manca un membro dell’equipaggio, perciò per motivi di sicurezza qualcuno deve rimanere a terra (dopo ore si scoprirà che 30 assistenti di volo di Meridiana hanno inscenato una protesta “occulta” dandosi malati e scombinando tutto il piano voli del giorno). Ma la linea invece non cambia: non si parte, scegliete l’alternativa che preferite. A nulla valgono il blocco del varco alla zona sicura (che costringe i poliziotti dello scalo a far intervenire un loro funzionario) e i mille, finti tentativi di mediazione da parte della Polizia, della dipendente dell’aeroporto di cui sopra e di altri.

Alla fine, dopo 3 ore di nulla di fatto e di prese per il naso, durante le quali a nessuno salta in testa di offrire ai passeggeri appiedati una bottiglia d’acqua o un panino, si inizia a cedere: qualcuno rinuncia al volo, altri optano per Torino, qualcuno parte l’indomani. Al momento di lasciare l’aeroporto, quando sono le undici e mezza, non è neanche chiaro se il volo, alla fine, partirà: il rientrante aereo da Olbia forse arriva forse no, quindi anche i 100 fortunati prescelti (alcuni, non si sa in base a quale criterio, avvisati dalla compagnia aerea che ha cercato con offerte di soldi e biglietti alternativi di far desistere i passeggeri dal partire) forse alla fine rimarranno a terra.

Lo scioglimento dell’enigma a domani. Dopo una fantastica crociera in autobus verso Torino, sperando che anche a Caselle Meridiana non ne combini qualcuna delle sue. Intanto accumulo ricevute: pagheranno tutto, e voglio pure un rimborso.
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venerdì 29 maggio 2009

Coloranti e caramelle: molto allarme, poca sostanza


Quelle caramelle così colorate e invitanti nascondono qualche rischio per la salute dei bambini? È una domanda che da sempre scatena battaglie a colpi di ricerche più o meno scientifiche, titoli (spesso inesatti) nei giornali, denunce da parte delle associazioni dei consumatori. Un lancio d'agenzia ripreso circa un mese fa da alcuni quotidiani italiani ha rinnovato ancora una volta l'allarme: i coloranti nelle caramelle provocherebbero iperattività nei bambini. Cerchiamo di fare luce sull'argomento.

In primo luogo, la segnalazione parte dall'accostamento tra i risultati di un'indagine della Direction générale de la concurrence, de la consommation et de la répression des fraudes (Direzione generale della concorrenza, del consumo e della repressione delle frodi, Dgccrf), organo del Ministero francese dell'economia, e una richiesta di divieto per sei coloranti chimici avanzata dall'Ufficio europeo dell'unione dei consumatori (Beuc) insieme ad altre 41 associazioni.

Cosa dice l'indagine della Dgccrf? In sostanza, i Nas d'Oltralpe rilevano che risulta fuori norma il 42% dei prodotti di confetteria (di produzione francese ed estera) in commercio. Questa non conformità, però, in circa due terzi dei casi (e non in un terzo, come riportato erroneamente dalla stampa italiana) sarebbe legata a problemi di etichettatura: mancato riscontro di coloranti indicati sulla confezione o, al contrario, assenza dall'etichetta di coloranti invece riscontrati nel prodotto. La stessa Direction puntualizza che quella percentuale di irregolarità andrebbe comunque «sfumata», trattandosi più che altro un problema legato alla “dichiarazione” degli ingredienti che compongono le coloratissime caramelle che fanno gola ai bimbi.

Ma la “costruzione” della notizia prosegue ricordando che i coloranti sarebbero associati al famigerato disturbo da deficit d'attenzione ed iperattività (Adhd) e che, «nei giorni scorsi», il Beuc e altre 41 associazioni hanno chiesto all'Unione europea di vietare sei coloranti sospettati di favorire l'insorgere del disturbo. Recuperando dal sito del Beuc il documento salta però fuori che quella denuncia è datata 10 aprile 2008: ben un anno e pochi giorni prima del pronunciamento della Dgccrf, pubblicato il 16 aprile 2009.

A questo punto l'ennesimo allarme potrebbe venir liquidato come un distratto assemblaggio di fonti da parte di qualche giornalista pigro. Ma dell'associazione tra coloranti e iperattività si parla in questi giorni negli Stati Uniti. Infatti, un libro intitolato The unhealthy truth: how our food is making us sick and what we can do about it (“La dannosa verità: come il nostro cibo ci sta facendo ammalare e cosa possiamo fare”), scritto da una madre che sta lanciando una crociata contro gli additivi alimentari sponsorizzata da esperti televisivi e attivisti, ha riacceso le discussioni. Tra le altre cose, l'autrice Robyn O'Brien punta il dito contro i coloranti artificiali contenuti in alimenti come gelato alle fragole, yogurt, succhi di frutta e maccheroni inscatolati.

Fondata o meno la denuncia della O'Brien, contestata da molti nutrizionisti americani, rimane il fatto che la US food and drug Administration (Fda) - il massimo organismo statunitense con competenze in campo sanitario e alimentare - da anni ribadisca che «non esiste alcuna prova che i coloranti alimentari causino iperattività o disturbi nell'apprendimento infantile», posizione sottoscritta lo scorso anno dall'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa).

Sul rapporto iperattività/coloranti, la posizione di Massimo Papini, fondatore della clinica di Neuropsichiatra infantile dell'Ospedale di Careggi, è radicale: «L'Adhd è una sindrome inventata – dice – non risponde affatto a una problematica oggettiva ma alla necessità commerciale di vendere determinate medicine». Secondo Papini, anzi, «la terapia con un farmaco a base anfetaminica farebbe più danni del presunto disturbo». Esistono sicuramente casi in cui da un'intossicazione «derivano disturbi comportamentali: si pensi alla vicenda dei giocattoli con vernici al piombo, che qualche anno fa causarono danni gravi prima di essere ritirati dal commercio». Nei bambini, osserva il neuropsichiatra, «il sistema nervoso è più esposto rispetto a quello degli adulti, perciò un'intossicazione viene evidenziata da comportamenti diversi e da fenomeni nervosi». Ma, conclude, «stabilire pacchiani rapporti di causa/effetto è assurdo». Un colorante «può essere dannoso, ma l'effetto va documentato in maniera incontrovertibile».

Nadia Mulinacci, docente di Chimica degli alimenti all'università di Firenze ricorda che «vanno seguiti alcuni passaggi complessi prima che una sostanza possa essere iscritta nella lista degli additivi alimentari ammessi», spiega. Esiste infatti una serie standardizzata di test farmacologici, in vitro e su animali, che serve per determinare la cosiddetta “Noael”, cioè la quantità massima che non provoca effetti sugli animali: «Questa quantità viene poi divisa per un fattore di sicurezza, che solitamente è 100, diventando la Dga, cioè la dose giornaliera accettabile che si può assumere senza conseguenze».
Nell'industria alimentare «la tendenza è di ridurre i coloranti artificiali per privilegiare quelli naturali». Tra l'altro, in Europa e in Italia «il controllo in campo alimentare è maggiore, anche se sappiamo che una frode è sempre possibile». Comunque, «l'allarme sui coloranti è fuori luogo».

Fonte: www.minori.it
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martedì 26 maggio 2009

Asini davanti alla lavagna


CAGLIARI. L’Aids? Non è un’epidemia, non fa paura, riguarda soltanto omosessuali e tossicodipendenti, comunque esiste da sempre e usare il profilattico non servirebbe a difendersene «perchè coi virus ha l’efficacia di un colabrodo». La teoria darwiniana dell’evoluzione? «Non dimostra nulla» ma convince i marxisti, che «finalmente non devono preoccuparsi di un dio creatore».
Giordano Bruno? «Solo una spia eretica che tradiva i fedeli della chiesa cattolica per consegnarli al boia». E Newton, un poveraccio: «Gli intrugli alchemici che preparava gli servivano per tentare di mantenersi giovane in una relazione omosessuale con un matematico svizzero». Storicamente pericolosissimi i protestanti: «Dopo la loro invasione e in conseguenza di essa sono arrivati il divorzio, l’aborto, l’eutanasia e i serial killer».

Per non parlare degli illuministi: loro sono semplicemente «sciagurati». Tempi e dottrine lontani, ai tempi nostri i danni li ha fatti il rock: sono stati «fracassatimpani come Beatles e Rolling Stones» a dare il via libera «allo sballo e al consumo di droghe, poi ai Black Bloc».
Non lesina giudizi lapidari Emilio Biagini, genovese di 69 anni, docente di geografia alla facoltà cagliaritana di lingue e letterature straniere. Nei testi di cui è autore e che consiglia senza alternative agli studenti - ‘Ambiente, consumo e sviluppo, le isole Britanniche nel contesto globale’, edizioni Ecig, tre tomi, 40 euro l’uno - passa con disinvoltura dal racconto di quella signora venezuelana costretta a farla in una borsa perchè a Caracas trova tutti i cessi otturati - il che per il docente dimostra che «si è investito sui grattacieli senza pensare ai servizi igienici» - alla «segmentazione sociale» provocata da Sigmund Freud con la «demolizione della figura paterna» fino al problema attualissimo dell’immigrazione, che liquida con una certezza: «L’immigrato musulmano non si urbanizza ma tende a islamizzare la città in cui si inserisce».


Quei testi esistono dal 2004, per quattro anni gli studenti si sono limitati a mugugnare. Poi, due mesi fa, una ragazza è arrivata a pagina 221 del terzo tomo e ha letto che per Biagini «la crisi della famiglia raggiunge la sua manifestazione estrema con l’aborto volontario, il genocidio del ventesimo secolo». Incerta se ricorrervi o no, la studentessa ha potuto verificare alla stessa pagina che solo in Gran Bretagna le vittime dell’interruzione volontaria della gravidanza «sono già non meno di cinque milioni» quindi «molto più del milione registrate complessivamente nelle due guerre mondiali».

A quel punto è partita la prima lettera al consiglio di facoltà, poi la seconda - firmata da quasi tutti i nove rappresentanti degli studenti, sei indipendenti, due di centro-sinistra e uno di Cl - in cui il testo di Biagini viene definito «discriminatorio verso diverse categorie, sommario e al tempo stesso dogmatico nel suo giudicare» e ne viene richiesto il ritiro immediato perchè lo studente «non debba più studiare da un testo fazioso, che paralizza il pensiero critico e il contradditorio, che svilisce la dignità dello studente e dell’insegnamento universitario che dovrebbe ricevere». Irrintracciabile Biagini - neppure la segreteria della presidenza di facoltà è riuscita a metterlo in contatto con la Nuova Sardegna - è il preside Massimo Arcangeli a fare il punto su quello che sta assumendo i connotati del caso politico-culturale nell’ateneo cagliaritano, un caso che deflagra proprio mentre si decide chi sarà il successore al trono quasi ventennale del rettore Pasquale Mistretta.

«Il consiglio di facoltà ha preso atto della lettera trasmessa dagli studenti e ha deciso di investire della questione i consigli di corso, i soli organismi deputati a valutare gli aspetti della didattica - spiega Arcangeli - io ho fatto verbalizzare che quei libri per me non sono congrui, in gran parte non c’entrano nulla con l’insegnamento della politica economica nè con quello della geografia, i rilievi degli studenti sono corretti». Quindi i testi andrebbero sostituiti «o almeno - aveva proposto il preside, come mediazione - bisognerebbe indicare un’alternativa». Soluzione che Biagini ha respinto.

Provvedimenti? Interpellato l’ufficio legale dell’Ateneo e analizzati i regolamenti, il consiglio di facoltà sembra avere le mani legate: «E’ decisivo il parere dei consigli di corso - conferma Arcangeli - perchè senza un codice etico, che è stato elaborato dalla professoressa Maria Del Zompo ma non è stato ancora approvato, io devo essere garante sia della libertà del docente che del rispetto delle opinioni diverse, come quelle degli studenti». I quali sembrano tutt’altro che rassegnati: «Biagini insegna alla facoltà di lingue - avverte Lorenzo Carrogu, del consiglio di facoltà - dove studiano ragazzi di culture e fedi diverse da quella cattolica, oltre che atei. Noi crediamo che tutti meritino rispetto...».
Forse lo meriterebbero anche gli ecologisti, che per l’estroso professore genovese «divinizzano la natura in una forma neopagana e considerano l’uomo alla stregua di un animale» e i massoni, bastonati senza tregua per quasi 1500 pagine.

Biagini riesce a leggere in chiave cattolico-vendicatrice persino il naufragio del Titanic, perchè la nave è legata a Belfast «centro focale del conflitto etico-religioso che da secoli insanguina l’Irlanda». Cosa c’entra col disastro? Semplice: «E’ una vicenda emblematica di un’arrogante e blasfema concezione materialista miseramente fallita, le cui radici vanno ricercate nel furioso anti-cattolicesimo che permea una cospicua parte della cultura locale». Quindi non era un iceberg, ma Dio.

Il Biagini-pensiero: femministe rovinose illuministi disonesti

CAGLIARI. Ecco alcuni stralci dai testi di Emilio Biagini.
Femminismo. «Il femminismo estremista, in particolare, si traduce non di rado in un rifiuto della maternità, vista come “ostacolo alla carriera”, ingiusta “sottomissione al maschio”, o semplicemente temuta per via delle doglie del parto. [...] La popolazione dell’Europa occidentale invecchia, ed è matematico che, se continueranno le tendenze attuali, si giungerà all’estinzione e alla sostituzione delle popolazioni europee da parte di immigrati, alieni dal femminismo e dall’omosessualismo, come ad esempio i musulmani».

Aborigeni. «Se gli aborigeni vogliono inserirsi nello sviluppo moderno è indispensabile che rinuncino alla cultura paleolitica».

Islam. «Società permeate dall’idea della sottomissione femminile, come quelle islamiche, sono lontane dall’apertura mentale necessaria ad un vero dinamismo sociale».

Genova. «Aumenta l’immigrazione di poverissimi dal “terzo mondo” (soprattutto dall’Ecuador, ed occorre una bella dose di ottimismo per sperare che il paese dell’arbitro Moreno ne ricavi un qualche vantaggio) [...] Nella città dilagano bande di minorenni, per lo più nordafricani di recente immigrazione, che trovano facile preda nelle persone anziane che aggediscono per strada o dentro i negozi [...]. In compenso in consiglio comunale viene respinta la proposta di introdurre il Crocifisso nelle scuole e uffici pubblici».

Contraccezione. «Non è che è un altro degli aspetti della congiura contro la vita».

Medioevo. «Il Medioevo non piace ai nemici del Cristianesimo perché è l’età cristiana per eccellenza. E il seguito dello sviluppo, dal 1066 in poi, dimostra chiaramente quanto il logoro stereotipo illuminista e positivista anti-cristiano sia lontanissimo dall’onestà e dalla verità».
(Da "La Nuova Sardegna" di oggi)

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giovedì 30 aprile 2009

Il mondo negli occhi dei bambini

I bambini guardano il mondo con occhi curiosi, assorbono moltissime informazioni ma non sempre sono in grado di decodificarle in un quadro chiaro. Lo si deduce da una curiosa intervista a più voci realizzata in due classi elementari di una scuola dell'hinterland torinese: per gli scolari, Obama dovrebbe fare il capo del governo e le quote rosa sarebbero «mutande». L'approccio giusto, però, permette anche ai più piccoli di afferrare concetti complessi. Lo dimostra l'esperienza della Biennale della democrazia di Torino, nella quale il tributarista Franco Fichera ha spiegato a un centinaio di bambini delle quarte e quinte elementari l'importanza del sistema fiscale con un gioco di ruolo chiamato Le belle tasse.

Un quotidiano del circondario torinese, giorni fa, ha pubblicato dunque una curiosa intervista a più voci con i bambini di una seconda e di una quinta elementari di Rivoli. Pur trattandosi di un campione davvero poco rappresentativo, la voce dei bambini riflette in modo significativo le storture e le contraddizioni di quanto assorbono dalla televisione e in famiglia. Sono soprattutto gli scolari della seconda a fornire le risposte più interessanti. Ecco allora curiose definizioni per la cassa integrazione («Quando un signore di lavoro ha bisogno di soldi e allora dice al suo capo se glieli può dare») o il tasso fisso («Un tasso imbalsamato»). La Borsa diventa «un posto dove tu hai delle carte e se le tiri prendi tutti i soldi» e il bancomat «una macchina che quando in posta c’è tanta coda, tu vai lì, metti un codice e ti prendi tutti i soldi che vuoi».

Le risposte riguardanti l'attualità politica vedono il trionfo di Barack Obama: il presidente degli Stati Uniti per qualcuno è «capo del governo», ma è anche «presidente, mentre Berlusconi è capo del governo» (la differenza? «Il colore»). Oppure «sta all'opposizione» ed è l'unico di cui ci si può fidare, tanto che un bambino, se fosse al governo, farebbe «venire Obama qui in Italia».

Sull'intricata politica italiana le idee si fanno più nebulose (le quote rosa, nella confusione generale, diventano «mutande»), ma tornano più concordi quando si passa a parlare della presenza femminile nelle istituzioni. Per esempio, l'intervistatrice chiede: «Secondo voi perché le donne in parlamento sono una minoranza?» Risposte: «Perché non sanno niente», «perché le femmine non vanno sulla moto da cross», «perché non fanno disastri», «perché non valgono niente». Motivazioni: «Dicono delle cose un po’ meno importanti di quelle che dicono gli uomini» oppure «le donne non sono capaci di fare queste cose, quindi dicono poche cose» (sono bambine a parlare). Quindi, quasi all'unanimità, un presidente della Repubblica non potrebbe essere donna. Tra le ragioni, ecco una vetta di sublime fantasia: «Perché quando le donne corrono, i capelli vanno tutti davanti alla faccia». Perciò l'altra metà del cielo sembra condannata a «lavare», «stirare», «fare le pulizie», «cuocere».

Ma la complessità della realtà sembra ampiamente a portata di bambino. Lo dimostra l'esperienza del progetto Le belle tasse – Le tasse spiegate ai bambini, riproposto alla Biennale della democrazia di Torino della scorsa settimana. Ideato nel 2005 dal tributarista Franco Fichera, professore di Diritto tributario a Napoli, questo gioco di ruolo ha spiegato a un centinaio di bambini della quarta e quinta elementare quale scopo abbia il sistema fiscale.

Lo stesso Fichera, che segue passo passo lo svolgimento per rispondere alle mille domande degli scolari e far comprendere cosa succede, spiega le regole in un articolo scritto l'anno scorso. I bambini vengono divisi in «autorità politica, esattori, amministratori» e ricevono un gruzzolo in monete di cioccolato, «distribuite in modo casuale e diseguale» (come nella vita). Vengono poi invitati a «destinarne una parte come tassazione sulla base di un’aliquota proporzionale decisa dall’autorità politica, ad esempio del 40 per cento». Ecco così una mini-dichiarazione dei redditi, «contenente l’indicazione delle proprie fortune, l’aliquota da applicare, il tributo dovuto, aggiungendo i propri dati anagrafici e la firma».

Una volta che «gli esattori avranno ritirato le dichiarazioni e percepite le entrate, l’autorità politica confronterà quanto è stato complessivamente riscosso con quanto era complessivamente dovuto, evidenziando pubblicamente, se risultano, fenomeni di evasione». Poi, le monete «saranno raccolte nella cassa pubblica» e l’autorità politica «destinerà le somme percepite alle diverse voci di spesa: istruzione, sanità, trasporti, vigili urbani, esercito, aiuti sociali». I bambini, così – scrive Fichera - «vedranno che il sacrificio individuale (la tassazione) permette la realizzazione di interessi collettivi (le spese pubbliche)» attraverso la modalità «dell'altruismo imposto o del dovere di solidarietà».

Il dibattito tra cittadini e amministratori si sviluppa sulle priorità: se usare i soldi per gli ospedali e la scuola, quanto donare all'Abruzzo, se era giusta un'aliquota del 40% . Insomma, quasi come nella vita reale: l'evasione di qualche goloso viene ripianata dagli altri bambini. Ma- questo sì che differenzia i bambini dagli adulti - con generosità, senza troppe storie: alla fine è solo cioccolato. 
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martedì 28 aprile 2009

Porta l'orsacchiotto dal dottore

«Infermiera, subito una flebo di Sgonfiolin»: un'istruzione del genere non si è mai sentita nelle puntate del Dottor House o in quelle di E.R., né tanto meno in un vero Pronto soccorso. Sgonfiolin, Abbassafebbre o Dolorstop sono medicine dai nomi curiosi che “curano” bambolotti e peluche, i pazienti speciali  portati all'Ospedale dei pupazzi. Non è l'ultima follia americana ma un'iniziativa pensata per i bambini dai 3 ai 6 anni: grazie alla pupazzologia, infatti, superano le paure legate a medici e ospedali e imparano a conoscere l'ambiente medico e il personale che vi lavora.

In questi giorni - lo scorso fine settimana e il prossimo – i pupazzologi si prendono cura degli orsacchiotti dei bambini di Moncalieri, cittadina alle porte di Torino, grazie alla sezione torinese del Sism e al contributo dei volontari della Croce rossa. Sism sta per Segretariato italiano degli studenti di medicina, un'organizzazione di studenti presente in 34 facoltà italiane sparse su tutto il territorio: sono loro che, qualche anno fa, hanno importato in Italia l'idea del Teddy bear hospital, ormai consolidata in 32 paesi del mondo e studiata nelle riviste scientifiche da una decina d'anni.

Ma come funziona questo gioco che serve a ben indirizzare  il rapporto tra bambini e dottori? L'ospedale viene allestito in modo realistico in uno spazio chiuso (a Moncalieri, per esempio, è il centro commerciale) oppure in una tenda da campo sistemata in una piazza cittadina. Anche le procedure sono simili a quelle dei veri ospedali: c'è l'accettazione, la sala d'attesa dove si inizia ad imparare, l'ambulatorio dove si svolge la visita. Il genitore del pupazzo (il bambino) spiega al pupazzologo i sintomi (inventati) di cui soffre la sua bambola, che poi verrà pesata e misurata. Spesso i bambini raccontano problemi di cui hanno sofferto o che temono.

Il medico completa poi la diagnosi utilizzando i vari strumenti dell'ambulatorio a misura di bambolotto, come lo stetoscopio, lo sfigmomanometro, l'elettrocardiogramma, i raggi X. Tutte le curiosità dei bambini sugli strumenti ed il loro funzionamento vengono soddisfatte. Al bambino viene poi consegnata la prescrizione: di solito dovrà raccontare favole al suo pupazzo oppure fargli le coccole oppure passare alla farmacia dell'ospedale per ritirare le “medicine” da somministrare secondo le istruzioni.

Ma l'ospedale dei teddy bear non ha come unico scopo quello di far familiarizzare i bambini con la medicina, la malattia e ad avere fiducia nel pediatra. Serve anche agli studenti di medicina per prepararsi meglio all'interazione col paziente. Negli ultimi anni centinaia di Ospedali dei pupazzi si sono svolti in quasi tutte le regioni d'Italia e hanno coinvolto migliaia di bambini: grazie alle affettuose cure dei loro “genitori”, tutti gli orsacchiotti visitati sono tornati in piena salute.
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giovedì 23 aprile 2009

Il G8 all'Aquila? Dove sono i sardi?

Sono le 13.37. Da almeno due ore i siti dei giornali lanciano le notizie riguardanti la nuova pensata di Berlusconi sullo spostamento del G8 dall'Aquila alla Maddalena.
Sto tenendo d'occhio le agenzie e ancora adesso nessun politico sardo, men che meno quel manichino che si è trovato in viale Trento per grazia divina, ha ancora aperto la bocca per dire mezza sillaba su questo scippo che, al terzo tentativo è finalmente riuscito al nano maledetto. Anzi, Cappellacci ufficialmente neppure è stato informato da Silvio: l'ha detto Berlusca poco fa in conferenza stampa, ha deciso qualcosa che riguardava la Sardegna senza neppure fare una telefonata al suo presidente ("Ugo, scusa, mi ero dimenticato di dirti...").

Il G8 è solo una gigantesca rottura di coglioni. Ma è comunque una grande occasione di sviluppo e visibilità planetaria per una terra che, al di fuori dell'Italia, in pochi sanno piazzare su una cartina geografica. Ce lo portano via con una scusa cinica e ributtante e, invece di scendere in piazza e dare fuoco al palazzo del governo, non c'è un cretino che osi parlare.

Siamo una Regione sottosviluppata e oggi abbiamo avuto la conferma di avere una classe dirigente (anzi, diretta) sottosviluppata.
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domenica 19 aprile 2009

Le letture del matrimonio di Claudia - 2

- Salmo responsoriale

Tutti: Lillo lallo lullo lello.

Strada facendo vedrai che non sei più da solo 
strada facendo, troverai un gancio in mezzo al cielo 
e sentirai la strada far battere il tuo cuore.
Lillo lallo lullo lello.

Lunga è la vita, larga la via
Io ti lascio la firma mia. 
Trenta giorni ha novembre con
April, giugno e settembre. Di ventotto
Ce n’è uno: indovina quale.
Lillo lallo lullo lello.

Yesterday, na na na na na na far away
La la la la la, yesterday
Oh i believe in yesterdays.
Lillo lallo lullo lello.

Beviamo per la potenza, beviamo per il suono
Il tuono e il metal stanno scuotendo la terra
Bevi per i tuoi fratelli che non devono mai arrendersi
Siamo tutti fratelli del Metal qui nella sala.
Lillo lallo lullo lello.
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Le letture per il matrimonio di Claudia - 1

Prima lettura.
Dal libro della Genesis.

E venne il giorno in cui il cielo si tinse di lapislazzulo e le cornacchie pronunciarono oscure maldicenze. Il Signore lanciò un arco di fuoco nel cielo e il leviatano barrì con voce flautata dalle acque profonde. Nabucodonosor e Mildred cantarono le lodi del Signore e arrostirono un bue alle erbe. Poi Nabucosonodor prese una forchetta, lo assaggiò e disse: «È cosa buona e giusta». Mildred tagliò la carne in larghe fette e la distribuì alla mensa. Ma Siracide, figlio di Mildred, sbattè i pugni sul tavolo e disse: «Io voglio le polpette».

Subito il Signore tuonò dall’alto dei cieli e l’angelo della morte fece la sua comparsa tra le nuvole. Di fronte a tanta potenza, Siracide abbassò lo sguardo e, con voce contrita, esclamò: «Ma forse il bue non è neppure così male». 

Poi fu la volta di Nenia, sorella di Siracide. Ella amava il frutto della conoscenza e amava distinguere pere e mele e banane e kiwi. Vide la carne, la annusò con espressione contrariata e poi spinse avanti il piatto con gesto di rifiuto. Ancora una volta l’Angelo della morte fece capolino tra le nubi e fece luccicare la sua spada. Il Signore brontolò: «Figlia dell’uomo, non ti alzerai da quel tavolo finché il tuo piatto non sarà vuoto». Nenia però afferrò il piatto e verso il suo contenuto per terra, dove scorrazzava Zaccaria, il cane più veloce che ci sia. Allora l’Angelo della morte si scagliò giù dal cielo in una pioggia di fuoco. 

Ma Nacubodonosor, che fino a quel momento aveva taciuto, emise un alto grido e lanciò un’altra fetta di carne a Nenia dicendo: «Voce di uno che muore di fame: oh Signore, risparmia questa screanzata e lasciaci concludere il pasto nella Tua santa pace». Il Signore sentì la fede di Nabudoconosor nei gorgoglii del suo stomaco e fermò la spada dell’Angelo della morte. Il pranzo fu ottimo e abbondante. Così sia.
Parola di Dio.
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mercoledì 8 aprile 2009

Torino, il circo in una stanza per i minori in carcere

Due volte alla settimana, nel carcere minorile Ferrante Aporti di Torino, apre i battenti un circo piccolo piccolo. Ci sono clave, bolas, cerchi, monocicli, piatti cinesi e tutta l'attrezzeria di giocolieri ed equilibristi. C'è un pubblico non troppo folto ma entusiasta, fatto di ragazzi spesso difficili, ancora più spesso stranieri. Mancano il tendone, la pista, i domatori: ma a che servono, quando basta una stanza per fare circo? Dal 2006 il progetto CircoStanza dell'associazione Viviamo in Positivo Italia Onlus porta le arti circensi e la clownterapia tra i ragazzi dell'istituto di pena torinese.


I risultati sono sorprendenti: «Il laboratorio è partito come una sfida, non pensavamo che la nostra proposta attecchisse in un ambiente tanto complicato», racconta Maria Luisa Mirabella, formatrice e responsabile dell'associazione. Invece la risposta dei giovani detenuti (il 93% dei quali è di origine straniera) è stata immediata: «Di solito iniziamo a giocolare tra noi, a mostrare come si usano gli attrezzi – dice Mirabella – I ragazzi arrivano e la maggior parte di loro vuole provare». Ma non si fermano qui, aggiunge quella che i ragazzi del Ferrante, con un po' di reverenza musulmana, chiamano “la zia”: «Alcuni sono dotatissimi, diventano bravi e iniziano ad insegnare ai compagni appena arrivati». Oppure scoprono di poter cambiare vita grazie al circo: è successo a un giovane romeno di 17 anni, così bravo da ottenere un permesso premio di due giorni per seguire un corso di giocoleria avanzata.

L'approccio della squadra, capeggiata dalla Mirabella e composta da un educatore, un circense professionista e un consulente artistico, è vincente: «Dopo 2 o 3 settimane, anche i ragazzi col carattere più difficile vengono conquistati – racconta – Qualche piccolo trucco di magia o micromagia cattura sempre l'interesse».

Ma CircoStanza non è solo un'occasione di svago per riempire due ore alla settimana di noiosa vita carceraria. «Il nostro è soprattutto un lavoro educativo – sottolinea la responsabile di Vip Italia – Le arti circensi sono uno strumento pedagogico». per spiegare come relazionarsi con gli altri e rinforzare l'autostima e l'autonomia grazie alle abilità creative». «I ragazzi manifestano nelle nostre attività la loro parte buona», e questo facilita anche l'approccio e i contatti col personale del carcere. Ma per arrivare a questo risultato il lavoro non si può esaurire nelle attività coi vari gruppi del Ferrante Aporti: «Siamo parte integrante del sistema, non siamo solo giocoleria – dice Maria Luisa Mirabella – Lavoriamo molto con l'equipe del carcere, siamo sempre presenti nella vita interna della struttura». La stessa squadra, continua, «si incontra spesso per preparare al meglio le varie attività e studiare l'approccio più opportuno per affrontare i casi più difficili».

L'esperienza del circo sociale di Torino – raccontata anche in un libro – dall'anno scorso viene replicata negli istituti di pena minorile di Palermo e Catania, mentre altri laboratori sono stati attivati in realtà difficili di Genova, Modena e Asti e nello stesso capoluogo piemontese partiranno nuove attività itineranti grazie all'utilizzo della Circomobile. Il 19 aprile, in 34 piazze italiane, la quinta Giornata del naso rosso sensibilizzerà i cittadini sull'importanza della clownterapia in ospedale e sui progetti circensi con i minori disagiati.

(dal portale www.minori.it)
Approfondimenti:
Il libro dedicato all'esperienza Circostanza nel carcere minorile torinese (File Pdf, 3,3 Mb)

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A Catania il futuro dalla tradizione dei pupi

Le donne, i cavalier, l'arme, gli amori dei pupi per costruirsi un futuro diverso: i ragazzi dei quartieri popolari di Catania – anche quelli non vedenti - potranno imparare la tradizionale arte delle marionette siciliane grazie a un progetto finanziato con quasi 300mila euro dalla Fondazione per il Sud. L'iniziativa si chiama La via del legno – L'arte dei pupi tra cultura e lavoro e vuole «recuperare e valorizzare una tradizione culturale che finora si era trasmessa solo di padre in figlio e che si sta perdendo», spiega Nino Novello, presidente de La città del Sole, la cooperativa sociale capofila di un progetto che mette insieme l'esperienza della Marionettistica fratelli Napoli (i più famosi pupari catanesi), con le competenze di associazioni e cooperative impegnate nel sociale.


Insegnare l'antica arte dei pupi non significa solo «fare il teatro, cioè imparare per esempio il rituale che seguono i paladini di Francia o a riprodurre i rumori della battaglia, delle spade e dei cavalli o il modo in cui parla ciascun personaggio», dice Novello. C'è anche il lato artigianale di un'arte elevata dall'Unesco a patrimonio dell'umanità: imparare a scolpire le marionette nel legno, a decorarle con la ricchezza di dettagli che le caratterizzano, a realizzare versioni in miniatura da proporre come souvenir. Quest'azione formativa del progetto si realizzerà con due corsi da 100 ore che partiranno prima dell'estate: uno dedicato all'aspetto spettacolare e teatrale dell'Opra dei pupi e delle arti antiche, l'altro alla realizzazione materiale delle attrezzature che i maestri pupari utilizzano negli spettacoli. Aggiunge il presidente de La città del Sole: «Vogliamo che i giovani partecipanti – circa 20 per ciascun corso – possano fare di questa attività un lavoro con la creazione di cooperative e imprese: dopo la formazione prevediamo un'attività di orientamento in questo senso».

La valorizzazione di una delle più tipiche tradizioni siciliane passerà anche per la sensibilizzazione e la diffusione di questa particolare forma di teatro: dopo l'estate partiranno dieci seminari e otto laboratori artistici che coinvolgeranno le scuole del territorio, verranno allestite una mostra itinerante e una serie di spettacoli. A settembre, poi, aprirà in una zona popolare di Catania il Centro di aggregazione minorile, dove si terranno due laboratori didattici su costruzione del pupo e drammatizzazione. Tutte le iniziative de L'arte del legno saranno aperte anche ai non vedenti: oltre all'accesso ai corsi e ai laboratori, i ragazzi privi della vista potranno conoscere direttamente il mondo dei pupi grazie un'opuscolo storico realizzato anche in nero/Braille e alla riproduzione tridimensionale di un teatro dei pupi all'interno del Polo tattile multimediale della Stamperia regionale Braille di Catania (una delle realtà che aderiscono al progetto).

(dal portale www.minori.it)
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venerdì 27 marzo 2009

Quanto ci si può fidare dei giornali in Sardegna?

Immagini sparse dagli ultimi mesi. Un giornalista di Videolina quasi si unisce in diretta al carosello dei festeggiamenti nella sede di Ugo Cappellacci («Cosa vuole dire a Renato Soru, presidente? Cosa gli diciamo, eh?»). Una sua collega - elegantissima, brillante, mai troppo imparziale - atterra in Consiglio regionale grazie al munifico listino del centrodestra.

Un altro collega della stessa tv, grande esperto di calcio, si ritrova - così sembra - capo ufficio stampa della Regione. L’Unione sarda dedica pagine e pagine a Berlusconi e alla sistematica distruzione di Renato Soru durante l’ultima campagna elettorale. Due interviste dell’Unione a Cappellacci subito dopo l’elezione e all’esordio in Consiglio regionale (interviste a Soru nei 5 anni precedenti: zero). La linea ondivaga della Nuova Sardegna prima e durante la campagna elettorale: un po’ di qua, un po’ di là, adesso che è iniziata la legislatura decisamente di qua con modi anche inappropriati (un fondo al vetriolo del notista politico sulla nuova giunta “venduto” come pezzo di cronaca). Il Sardegna che ondeggia a seconda di chi scrive, Altra Voce – il quotidiano on line di Giorgio Melis – ormai incasellato come house organ del leader di Sanluri (anzi, più soriano di Soru stesso).

Forse mischio pere e mele (giornalisti e informazione), ma il problema di fondo rimane: ci si può fidare dei media sardi e di quello che scrivono? Il dilemma non riguarda solo la politica: si pensi al recente caso di cronaca del giovane morto d’infarto nel parcheggio del Sant’Elia presentato con tutti gli stilemi dello scandalo a luci rosse o al dramma dell’Eurallumina messo oggi a pagina 2 e il giorno dopo a pagina 40 dall’Unione. O, andando indietro di un paio d’anni, alla bufala del vecchino ladro nel supermercato inesistente, lanciata dall’Unione e smascherata dal Sardegna.

I giornali sono buoni solo per involgere il pesce o leggere i necrologi? I telegiornali servono ormai solo a vedere i gol del Cagliari? Fare il giornalista ormai è solo un modo come un altro per farsi amici potenti e ambire di essere cooptati nella casta? Insomma, in Sardegna più che nel resto d’Italia, l’informazione – intesa come servizio al lettore e non strumento di difesa e promozione di interessi economici più o meno palesi – è morta?

(ho scritto questo breve sfogo per il blog collettivo Corona de Logu: visitatelo)

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sabato 7 marzo 2009

Il pisello del dottor Manhattan


Reduce dalla visione di "Watchmen", attesissima (almeno da me) trasposizione cinematografica del romanzo grafico di Alan Moore e Dave Gibbons. Non voglio fare una recensione, perchè è quanto di peggio possa fare un blogger. Ma visto il legame affettivo con l'opera originale e con gli altri lavori di Alan Moore (V for Vendetta su tutti), sento l'esigenza di scrivere qualche impressione.

Le prime parole che mi vengono in mente, dopo un lungo - e forse sproporzionato, visto che si parla di un film - ragionamento sono "pastrocchio postmoderno" e "esercizio di stile mimetico". Partiamo dal secondo punto, che ho voluto sintetizzare nel titolo di questo post.

Il film riprende in maniera quasi scimmiesca la cura maniacale dei dettagli della storia originale. Perchè scimmiesca? Perchè nell'opera di Moore ciascun particolare, ogni minima cosa, ha un senso nell'economia della narrazione e nel dipanarsi della trama. Watchmen libro è un'opera complicatissima, anche faticosa da leggere al primo approccio per la ricchezza di sottotesti, la complessità linguistica, la profondità di dialoghi e didascalie. Tutto al servizio, in estrema sintesi, di una chiave di lettura filosofica e di un ragionamento sull'assurdità narrativa del concetto di supereroe . Ma tutto questo insieme di cose é parte di un meccanismo narrativo ad orologeria: nel finale si capisce il posto e il senso di ogni minuscolo mattoncino disseminato nelle 400 pagine dell'opera.

Watchmen film prende questa ricchezza e la fa diventare semplice e lussureggiante sfoggio esteriore: una perfetta copia della Gioconda non potrà mai essere la Gioconda. I dettagli ci sono, gran parte degli avvenimenti della trama principale c'è, ci sono i personaggi e molte delle loro frasi: ma cosa manca? Manca un'anima, una visione "poetica" d'insieme che dia un significato a storia e personaggi: perchè Manhattan se ne va in giro col pipino di fuori? Pagina dopo pagina, nel libro diventa chiaro cosa sia diventato l'unico vero ultraumano della vicenda, nel film no e la sua nudità è quasi gratuita. Ma sono tante le cose che si giustificano solo come elementi messi là per dare al film una quasi totale aderenza all'opera originale senza che arricchiscano la narrazione, anzi appesantendola: una bellissima facciata che non corrisponde all'edificio retrostante.

Ecco dunque il pastrocchio postmoderno, la pietanza troppo pesante per essere digerita, il gioco del citazionismo e della costruzione della bella immagine che non comunica nulla, il film quasi incomprensibile per chi non abbia letto l'opera originale, tanto leccato nel suo look luccicante quanto povero di una rielaborazione originale dei contenuti. Fatte le debite e reverenziali proporzioni, è il discorso che faremmo se qualcuno - come sembra - si azzardasse a fare una versione filmata della "Divina Commedia" di Dante: prendere Dante e Virgilio e metterli a zonzo per i regni ultraterreni riuscirebbe a restituire il senso ideale, religioso e filosofico dell'opera dantesca? O sarebbe una carrellata di personaggi, diavoli, effetti speciali e fuffa assortita? Questo è quello che è successo con "Watchmen": il lusso della confezione, l'attenzione anche stupida per il dettaglio, l'imitazione pedissequa per un Bignami ottuso di un libro che, idealmente (e insieme a tante altre cose), ha messo fine alla retorica dell'eroe. Ma difficilmente, a chi ha visto questo pasticcio verrà voglia di mettersi a leggere il vero Watchmen.

PS dell'8 marzo (ci sto ancora rimuginando sopra). Ho riletto quello che ho scritto, sono stato molto (troppo) duro.. Bisogna riconoscere che il regista si è impegnato in maniera maniacale per riprodurre l'atmosfera, i luoghi, le scene dell'opera originale, con risultati estetici davvero straordinari.

(scusate la lunghezza)

Bonus: qui i titoli di testa del film, forse la parte migliore.



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venerdì 6 marzo 2009

Senza titolo - 15



(Qui le puntate precedenti)

Dal basso, con gli occhi vitrei e inespressivi, la faccia rigida, i baffi paradossalmente perfetti e i vestiti firmati ma imbrattati, mi fissava il più classico esempio di giornalista zerbino delle nostre parti: uno che aveva le mani solo per fare da reggi microfono del potentino di turno e la bocca come fondina per una delle lingue slappa-deretani più formidabili del mondo libero.

Adorava esercitare la sua sopraffina arte linguistica soprattutto nei confronti di quel mezzo scimunito che faceva il sindaco. Oh, a me dei giornalisti non me ne sbatteva un cazzo. A volte mi sembrava soltanto gente che non aveva trovato di meglio da fare nella vita e sapeva scrivere solo in stile pensierino-scemo-delle-elementari: cose idiote scritte per lettori rincretiniti. Ma dovevano sopravvivere e potevo capire una certa benevolenza nei confronti di chi comanda. Quel bastardo però l’avrei impalato vivo e lasciato in pasto alle cornacchie, se solo avessi potuto. Penso che tutti quelli che erano stati a scuola nei miei anni la pensassero allo stesso modo. Ma lo stronzo non era più un problema, a meno che non gli si capitasse a portata di mascella.



In una serie di servizi per quello schifoso telegiornale che dirigeva, lo stronzo ci aveva riservato un bel maltrattamento televisivo per una settimana filata: avevamo iniziato lo sciopero a scuola per un fracco di buoni motivi. Primo, non funzionava il riscaldamento e ci gelavamo le chiappe in quell’edificio che sarebbe stato inospitale pure per piazzarci la Batcaverna. Secondo, non c’era giorno che passasse senza che le pareti scricchiolassero un pochino. Nei decenni, da quando cioè avevano intonacato le pareti nel Neolitico inferiore, si era affermata la tradizione di segnare l’allungamento delle crepe nei muri con la data: tutti eravamo convinti che quella fosse l’unico segno che avremmo lasciato ai posteri del nostro passaggio terreno.

Sempre che la scuola non crollasse prima e con noi dentro: eventualità da non escludere a priori, visto l’allungarsi prodigioso di crepe nate (e puntualmente certificate) nei primi anni Settanta.

Se tutto questo non fosse bastato: non avevamo un cortile, non avevamo un campetto, non avevamo una palestra e all’ora di educazione fisica si cazzeggiava nei bagni. Dopo una serie di lamentele del resto del corpo docente, il preside Conch’e Ginogu (era calvo come una palla da biliardo) decise di fare qualcosa per salvare dall’alcolismo i prof di educazione fisica, che ormai erano diventati clienti premium del bar di fronte alla scuola. Così fece allestire una specie di palestra in una classe dismessa: due spalliere svedesi, una corda, due materassini marci e un canestro da mini basket che i meglio informati dicevano provenire dai Giochi della Gioventù del 1954.

Il canestro – mega delusione - era solo per figura: la palestra era al primo piano, sotto altri sfaticati tentavano di fare lezione. Perciò niente palleggi per non disturbare la classe al piano terra, nessun movimento troppo brusco né salti né per non accelerare il cedimento strutturale in corso e sperimentare rovinosi salti di classe attraverso il pavimento. Dal cazzeggio in classe si era passati dunque a quello nella palestra: qualche volenteroso tentò l’approccio con le spalliere svedesi ma un giorno una si staccò dal muro e venne giù come un abete segato in una foresta del Quebec. Capimmo che anche quelle erano per bellezza e decidemmo che ne avevamo le tasche piene di quella scuola.

(15 - continua)
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