martedì 10 settembre 2013

Sono evaso da Facebook (parte 2)

E quindi ho chiuso il mio "storico" profilo Facebook. Se nel primo post dedicato al tema ho elencato alcuni degli aspetti positivi del social network di Zuckerberg (ne aggiungo un altro post scriptum: utilizzato nel modo corretto, facilita lo scambio di informazioni e documenti e la pianificazione delle attività all'interno di gruppi di lavoro), adesso voglio ragionare su quegli aspetti che mi hanno indotto a mollare tutto e ripensare dalle radici la mia attività social . E, spero, anche la mia vita.

Parto dalla fine: appena i miei contatti si sono resi conto della mia "sparizione", hanno iniziato a scrivermi su Whatsapp (chi aveva il mio contatto, ma WA è il prossimo nella lista di cose da eradicare per vivere meglio) o nella mail della pagina pubblica che gestisco o sulla mia mail personale. I messaggi potrebbero essere divisi in due categorie: "ma ti hanno bannato?" oppure "perché mi hai bloccato?". Questa reazione, forse prevedibile, mi ha però fatto riflettere sull'immagine di me che ho veicolato attraverso Facebook in questi anni. E anche sui miei comportamenti, da un certo momento in poi fortemente condizionati dalle dinamiche facebookiane al punto da farmi pensare nelle ultime settimane "ma questo sono davvero io?".
Una premessa è d'obbligo: le mie riflessioni riguardano la mia esperienza personale da utente "forte" di Facebook, quindi connesso per gran parte della giornata, con una intensa attività di pubblicazione, commento sulle bacheche altrui, condivisione, comunicazione attraverso i messaggi. FB era centrale nelle mie attività quotidiane. Così centrale che mi ha fatto perdere di vista molte delle cose realmente importanti della vita o mi ha distratto da qualcosa di irripetibile che mi stava accadendo di fronte agli occhi. Un bellissimo tramonto, e io con gli occhi su Facebook. La possibilità di condividere qualcosa con una persona a cui volevo bene, e io con gli occhi su Facebook. E via dicendo.

La comunicazione scritta in tempo reale è piena di insidie. Non percepisci il tono con cui alcune cose verrebbero dette a voce, non hai a disposizione il linguaggio del corpo per cogliere certe sfumature, la sintesi e il desiderio di non lasciare appeso l'interlocutore troppo a lungo a volte spingono a eccessive semplificazioni dell'esposizione e lasciano la porta aperta a una serie quasi infinita di possibili equivoci. Le emoticon a volte servono e a volte aumentano invece la confusione. 

Questo porta alla costruzione di rapporti umani falsati, condizionati spesso dalle circostanze in cui avviene la conoscenza e moltissimo dalle vicissitudini personali degli interlocutori. In altre parole, se hai un deficit affettivo, è inesorabile: su Facebook viene fuori e potresti attirare l'attenzione di qualcuno con una lacuna simile alla tua o che semplicemente vuole approfittare della tua debolezza. Zuckerberg ha messo in mano alle persone uno strumento potentissimo e pericoloso e gran parte degli utenti non si rende conto del modo in cui espongono in maniera più o meno palese le proprie debolezze e le proprie lacune emotive sulla pubblica piazza virtuale. 

Da qui a trovarsi travolto in una catena quasi infinita di amicizie-finte/flirt-virtuali-pronti-a-sconfinare-nella-realtà/amicizie-interessate-sfogatoio (la casistica è varia e cangiante), il passo è breve. Se stai bene con te stesso e con gli altri, se sei soddisfatto della tua vita, Facebook accentua la valenza positiva dei tuoi rapporti reali. Se stai male, sei fottuto: la tua realtà viene mangiata e sostituita con una realtà che esiste solo dentro il tuo pc o il tuo telefono. 

Non posso nascondermi dietro un dito né giustificarmi addossando tutte le colpe al social network. Non ho sentito vocine nella mia testa che mi spingevano a condotte inappropriate e moleste o mi suggerivano cose tipo trollare in modo costante i miei contatti più boccaloni solo per il gusto di essere fastidioso. La presa di coscienza è stata dolorosa: quello che ha preso Facebook per un grosso discount di amicizie, emozioni, conoscenze a buon mercato ero proprio io. Quello che all'improvviso si è messo a fare una gara di popolarità pezzente a suon di like e commenti e post fighi coi miei contatti più in vista, ero io. Quello che ha smesso di parlare con le persone intorno perché doveva parlare con le persone dentro il mio telefono, ero sempre io. 

Facebook ha preso gli aspetti peggiori della mia personalità e li ha pompati ed amplificati a tal punto che io sono diventato la parte peggiore di me. E ho continuato allegramente a lasciare andare le cose in vacca concentrato sulle effimere gratificazioni del mio ego finché non mi sono guardato intorno, ho visto lo sporco che si era accumulato mentre io ero distratto a chattare e ho pensato: ma che cazzo sto facendo? 

Ci è voluto ancora qualche tempo perché capissi che alla fine passare le ore su Facebook non aggiungeva nulla alla mia vita. E, alla fine, all'ennesima provocazione sulla mia bacheca sfociata in messaggi aggressivi a suon di poba e chinigazzu, ho detto: dear friends, I quit.

Il mio sentirmi figo perché mi stavo sganciando da quelle dinamiche perdenti e egotiche però è durata poco. Giro un pochino su Google e scopro che, negli Usa, mollare Facebook è una tendenza che si va consolidando negli ultimi due anni e ha dato vita a una fiorente pubblicistica.
Ma di questo parlo nel prossimo post. Sì, non è finita qui. Mi dispiace.

(Qui per leggere la prima parte)

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