mercoledì 10 dicembre 2008

Arriva il criceto Gigi!

E così è iniziata la corsa del criceto Gigi, sul suo blog. Io scribacchio, il mitico Bruno Olivieri disegna e chissà cosa salterà fuori...
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Senza titolo (per ora) - 14


(Qui le puntate precedenti)

Quelli intanto avanzavano: potere delle lucine e del cibo in scatola. Erano almeno 50, la maggior parte di fresco ritorno dal mondo dei più, pure abbastanza puliti e ordinati. Ormai non mi facevano più nessuna impressione. Si può anche dire che, forse, non me ne avevano mai fatta.

Sotto sotto avevo sempre pensato di essere circondato da morti viventi: quando stavo in viaggio sull’autobus o andavo al supermercato facevo attenzione alle persone che mi circondavano. Nove volte su dieci era evidente che, se il cervello non era già spacciato, doveva essere in stato terminale. La differenza tra questi che cercavano la carne in scatola dentro un autobus e quelli che si fermavano incantati a sceglierla davanti a uno scaffale era solo l’apertura a strappo. Non mi spiegavo in altro modo tutti quei discorsi sulle “Isole dei Famosi” o le folle adoranti per quei cretini (stonati) che vincevano i programmi della tivu. Per non parlare di quelle che, in fila al super, si struggevano per qualche manzo microcervellato che faceva sospirare le troniste con i suoi capricci.


A proposito di televisione: nel gruppo che stava lentamente circondando il nostro autobus vidi una faccia conosciuta. «Silvio, molla i comandi e vieni qua – urlai – Guarda chi c’è!». Mi raggiunse sbuffando («Questa situazione non mi piace!») e mi aiutò ad aprire un finestrino. Subito entrò quella maledetta puzza di cadavere che appestava ormai tutta la città. Qualche scarafaggio del reparto vettovaglie cercò di fare il grande salto verso il finestrino aperto, altri tentarono la scalata diretta in cordata tipo Messner sul Nanga Parbat. I cosi invece allungarono le braccia non appena videro sbucare le nostre teste, ma eravamo in alto e al sicuro. A vederla sotto un’altra prospettiva sembravamo i Beatles che facevano capolino per salutare la folla adorante dopo un concerto. Solo che Paul, John, Ringo e George al massimo l’avrebbero finita nudi e molestati sessualmente, se la folla li avesse raggiunti. Noi saremmo andati letteralmente in pasto al pubblico.

Indicai una faccia morta in mezzo ai nostri ammiratori: «Lo riconosci quello?». Aveva ancora la giacca da gelataio e la cravatta con cui lo vedevamo spesso alla televisione. «Ma guarda lo stronzo – rispose Silvio – Devo provare pena per quel merda?». Ci guardammo: no, nessuna pena per una delle facce di bronzo peggiori mai apparse in una televisione.

(14 - continua)
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giovedì 4 dicembre 2008

martedì 2 dicembre 2008

Senza titolo (per ora) - 13


(Qui le puntate precedenti)

Il disco volante sparò un ultimo colpo sui caramba e poi volò via, lasciandosi dietro una facciata fumante e alcuni principi di incendio. La strada era libera, potevamo proseguire. Dalle finestre che non erano invase dal fuoco buttavano giù cadaveri carbonizzati e altre macerie. Qualcuno si stava già rianimando: carboni fumanti che cercavano di tirarsi su, uno schifo.
«Non voglio passare là davanti – mi disse Silvio – Quelli sono così incazzati che ci userebbero come bersaglio».

«Gira intorno al palazzo», gli proposi. Riaccese il motore e, lentissimo, cercando di non dare nell’occhio, si infilò nella strada che costeggiava i carabinieri dall’altro lato. Quelle finestre sembravano poco presidiate: doveva esserci un casino tale là dentro che tutti quelli abili e arruolati forse giocavano al tirassegno con gli ex amici risorti. O si facevano strappare le budella. Nulla di allegro, in ogni caso. Noi intanto gli passavamo sotto il naso e cercavamo di riacchiappare l’astronave dei gorilla.

Dopo poche decine di metri, incontrammo una piccola mandria di morti piantati come tanti pali in mezzo alla strada. «Porca puttana!», esclamò Silvio. Le luci dei fari li attirarono come le maledette zanzare che mi piombano addosso nelle notti d’estate appena lascio uno spiraglio di finestra aperta. Non le sopporto e non mi lasciano dormire, quelle minuscole puttane. Cioè, conosco un sacco di gente che non si sveglierebbe neppure nell’eventualità che tutti i bastardi poliziotti della scuola Diaz fossero piombati in camera ululando tipo indemoniati e avessero fatto esplodere le molotov che si erano portati da casa. Io sono uno di quelli cui bastava un cigolio del materasso per vincere fantastiche notti insonni.

E quando non dormi che fai? Ti dedichi ovviamente alla caccia delle succhiasangue ronzanti. Avevo sviluppato una tattica infallibile: mi acquattavo sotto il lenzuolo in stile Rambo. Aspettavo che la zanzara disorientata si avvicinasse a capire se c’era qualche spuntino. Quando me la sentivo ronzare vicino alle orecchie, con uno scatto felino accendevo la luce della camera. L’idiota svolazzante, colta di sorpresa, nove volte su dieci si posava subito sulla mia bella parete bianca e finiva spiaccicata con un preciso colpo di quotidiano arrotolato. A onor del vero, la mia parete non era più bianca da tempo ma a pois neri e rossi: la decoravano diverse generazioni di insetti distrutti. Avrei preferito qualche testa d’alce, ma ci sarebbero voluti troppi colpi di giornale.

«E qui che si fa?»: Silvio frenò a distanza dal muro di morti e mi guardò.
«Che ne dici di giocare a bowling? - abbozzai – Dobbiamo assolutamente seguire il disco volante».

(13 - continua)
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venerdì 28 novembre 2008

Il Travaglio ottimista



Marco Travaglio da Santoro ieri sera. Continua a leggere

giovedì 27 novembre 2008

Firenze: l'assedio dei trattori

In marcia su Firenze con 300 trattori. Quella indetta per oggi dalla Coldiretti si annuncia come «la più grande mobilitazione del mondo agricolo toscano», che culminerà con un corteo per le strade cittadine e la conclusione in piazza Santa Croce alle 13 per il discorso del presidente regionale Tulio Marcelli. «Abbiamo bisogno di nuove norme e regole dalla Regione perché il settore dell’agroalimentare toscano è in crescita: si conferma fiore all’occhiello della produzione ma è messo in difficoltà da vincoli e lacci»: così Raffello Betti, direttore di Coldiretti per le province di Firenze/Prato, spiega i motivi della manifestazione che muoverà numeri massici: insieme ai 3-400 trattori attesi, arriveranno da tutta la regione 15mila persone grazie anche a 200 pullman.

«Vogliamo legare il prodotto al territorio, per rafforzare la nostra filiera – continua Betti – Adesso invece viene certificato il processo di trasformazione e non l’origine del prodotto: il vero Made in Tuscany va difeso». Già ieri fervevano i preparativi per la manifestazione: in Santa Croce, mentre si ultimava l’allestimento del palco che ospiterà gli interventi, nel pomeriggio sono arrivati una decina di trattori, ai quali si sommeranno altri attesi per la mattinata.

A simboleggiare i punti di forza dell’agroalimentare toscano ci saranno alcuni “carri allegorici” dedicati a olio, vino e cereali. Ma la mobilitazione degli agricoltori toscani sarà ravvivata dalla presenza dei butteri maremmani, dagli sbandieratori di Pisa, Livorno e Siena che precederanno le rispettive delegazioni, dalle ragazze in costume che distribuiranno fiori mantenendo fede alla vocazione florovivaistica di Pistoia.

Alla fine di una lunga mediazione con Coldiretti, la stragrande maggioranza dei trattori si limiterà ad un ideale assedio della città con presidi dislocati in piazzale Michelangelo, via Di Novoli, via Senese, viale Guidoni, via Cavour, via Bolognese, via Faentina e viale Piombino. Il concentramento più grosso sarà quello del piazzale panoramico, dove sono attesi più di cento trattori. Il corteo invece si troverà nel piazzale Bambini di Beslan, di fronte alla Fortezza, e muoverà dopo alle nove: il percorso attraverserà il centro e includerà sarà anche il rituale passaggio davanti alle sedi di consiglio e giunta regionali. Sarà una mattina di fuoco per gli automobilisti fiorentini.

(dal "Firenze" del 27 novembre 2008)
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John Williams Pot Pourri


Geniale segnalazione del mio amico Eugenio. Continua a leggere

martedì 25 novembre 2008

Senza titolo (per ora) - 12


(Qui le puntate precedenti)

«C’è un po’ di fuoco e parecchio fumo – iniziai –E poi… Poi, sì, vedo un braccio penzolante fuori dalle macerie. Forse c’è un cadavere, cioè almeno uno di sicuro», gli riferii.
Il mio compagno di sventura assunse una faccia pensosa. «Appunto. Guarda se si muove», disse.
Un’altra esplosione fece sobbalzare il nostro bus. I gorilla avevano colpito ancora. I resti della finestra, mattoni e calcinacci precipitarono sulla strada. Tornai a puntare la prima finestra col binocolo.

«Non c’è più! Non vedo più il braccio!», esclamai. Ci scambiammo uno sguardo.
«Che dici? Mentre sono sotto attacco avranno trovato il tempo di recuperare un compagno morto? – commentò Silvio – Oppure non sono più al sicuro là dentro?».
«Quante persone ci saranno?»
«Non ne ho idea». Si accarezzò il mento. «Penso qualche centinaio. Ma quanto credi che ci voglia per diffondere il contagio, soprattutto se quelli armati sono occupati?»
«Credo che bastino quattro o cinque morti a spasso per dieci minuti: se poi beccano una donna o un bambino sono fottuti», dissi.

Avevo visto gente sopraffatta perché non aveva la forza di uccidere chi l’aveva attaccata. Io stesso e Robi eravamo fuggiti davanti alla mezza classe elementare: spaccare la testa a un moccioso era decisamente troppo, anche nella barbarie in cui eravamo precipitati. Se, nella sede del comando, c’erano tutte famiglie che si conoscevano tra loro, un paio di contagiati sarebbero stati sufficienti a distruggerli. Mentre tu ripetevi «Mamma mamma, ma non mi riconosci?», quella ti aveva già staccato un braccio. Poi maresciallo, ti avrei voluto vedere a sparare in testa a tua moglie e ai tuoi figli piccoli che venivano a farti a pezzi. La famiglia a lungo andare ti fotte, l’ho sempre pensato.

«Mi hanno detto che ‘sti imbecilli in divisa tengono rinchiusi un bel po’ di morti da qualche parte – dissi ancora – Pensano di curarli». Silvio batté le mani in un gesto di incredulità e poi si accasciò sul volante borbottando parolacce. Io mi ero rotto i coglioni dello sparatutto spaziale e mi feci un giro di perlustrazione lungo i finestrini del bus. Non c’era un’anima in giro, viva o morta che fosse. Ma non sarei sceso da quell’autobus neppure se avessi visto Berlusconi infilato in un sacco di boxe a testa in giù. Occasione irripetibile, ma mi sarei risparmiato i due cazzotti che si meritava e l’avrei lasciato alle amorevoli cure degli straccioni dell’aldilà, che erano di sicuro nascosti da qualche parte. Ma forse l’avrebbero schifato pure loro, quel merda: troppo cerone, capelli finti, troppa robaccia nel sangue. Meglio un topo di fogna.

«In queste case qui, dici che c’è ancora qualcuno?», chiesi a Silvio osservando i palazzi circostanti.
«Sicuro – mi disse tirando su la testa – Stanno tutti ai piani alti, gli zombi hanno problemi a fare le scale: quando ho rubato l’autobus ne ho visto un gruppetto sbattuti fuori a calci in culo da una palazzina in viale Ciusa».
«Porca puttana, ma perché non me ne sono rimasto a casa allora?».
«Ma i tuoi genitori dove sono?», domandò l’autista. «Non mi hai detto un cazzo».
«Li hanno sfollati prima che arrivassero i marziani – dissi – Erano alla riunione del gruppo della parrocchia, mia madre mi ha chiamato per avvertirmi che stava succedendo qualcosa e li portavano via. Mi ha detto: «Rimani chiuso a casa, appena posso ci facciamo vivi». Ma non ho ancora avuto notizie». Mostrai il cellulare: «D’altra parte non sta funzionando nulla… E i tuoi?».
Alzata di spalle di Silvio. «Credo stiano bene, conoscendo mio padre devono essersi organizzati una specie di fortino nel palazzo. Io ho trovato questo coso aperto e in moto davanti a casa e non ho resistito all’idea di farmi un giro».
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sabato 22 novembre 2008

Firenze: palloncini per chi non c'è più

Palloncini rossi che riempiono il cielo sopra piazza Santo Spirito. Ciascuno porta con sé una piccola lettera a una persona cara che ci ha lasciato. Francesca Casilli, 19 anni, si immagina così il finale del suo primo film da regista intitolato “Notes to heaven” (Lettere al paradiso), un cortometraggio di otto minuti che porterà in concorso al festival di Cannes dell’anno prossimo.

«Sarà un evento aperto, mi piacerebbe venisse chiunque abbia vissuto una perdita – dice – Le persone scriveranno una breve lettera che legheremo a un palloncino rosso: poi li lasceremo andare tutti insieme nel cielo mentre staremo filmando». Sarà «il momento finale e liberatorio» di un breve film che, attraverso interviste a sei persone che «hanno perso qualcuno di caro», vuole raccontare «differenti modi di convivere col dolore e superare il lutto».

Il corto è il progetto conclusivo del corso di cinema che la ragazza ha seguito in questi mesi in una scuola di Firenze. A dispetto del nome italianissimo, Francesca viene dallo Zambia, stato dell’Africa centro meridionale che qualche appassionato di calcio può ricordare per il 4-0 che inflisse all’Italia nel torneo olimpico di Seul 1988. La sua famiglia è originaria da Rimini e ha una storia che meriterebbe di essere raccontata in un film a parte: «Mio nonno lasciò la sua città in automobile e così arrivò nella Rhodesia del nord, che è come si chiamava lo Zambia all’epoca», racconta. «Vide che c’erano possibilità di lavorare e dopo un po’ fece venire tutta la famiglia – continua – Mio padre infatti non è cresciuto in Italia».

Francesca però è tornata in Italia per seguire il cinema, la sua grande passione: «Ho sempre desiderato fare film, ma non avevo idea di come si facesse: ora sto imparando». Ma sul suo eventuale futuro – che continuerà con altri studi, forse negli Usa - da film maker, la ragazza ha le idee chiare: «Non mi interessano i grandi film commerciali – dice – Vorrei fare film sulle persone, i loro problemi e i loro sentimenti». Come la sua prima prova, che verrà presentata in anteprima il 12 dicembre al Florence film festival e nasce da una esperienza dolorosa della giovane regista: «Dodici anni fa ho perso un carissimo amico», ricorda.

Ecco così l’idea di intervistare tre amici coetanei e altre tre persone più adulte che raccontano il modo in cui hanno vissuto col grande dolore di perdere una persona cara, tutto girato con una videocamera ad alta definizione, una truppa ridotta ai minimi termini e senza copione. Esperienza istruttiva per una come Francesca, che si vede «soprattutto come sceneggiatrice» e invece si è trovata a girare «senza sapere cosa sarebbe venuto fuori, perché avevo davanti persone reali e non potevo dare loro un copione». L’unica scena in qualche modo sceneggiata sarà quella finale, che verrà girata domenica prossima, 23 novembre, a partire dalle 14 in piazza Santo Spirito. «Ci saranno venditori di palloncini rossi e si potrà comprare anche la penna, per chi ne fosse sprovvisto – conclude la ragazza italozambese – Spero che in tanti vengano a scrivere una piccola lettera, sarebbe un bel modo per capire che nel dolore non si è soli».

(da "Il Firenze" del 22 novembre 2008)
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giovedì 20 novembre 2008

A febbraio arriva "Coraline"




A febbraio 2009 arriva il film tratto da uno dei miei libri favoriti. Credo che "Coraline" di Neal Gaiman sia uno dei titoli che ho più regalato nel corso della mia vita.
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martedì 18 novembre 2008

Tutti chiacchiere e tessera del partito

Da "l'Unità"

Oggi i telegiornali Rai sono «invasi» dalla politica: la «bocciatura» arriva dalla ricerca dal tema «Politica e giornalismo nei telegiornali Rai» condotta dall'Osservatorio di Pavia.

Di recente, per esempio, al Tg1 il principale evento-notizia è stato rappresentato dalle reazioni al gestaccio di Bossi (il dito medio mostrato, ndr) con ben 443 secondi dedicati, mentre nello stesso periodo la BBC alle elezioni in Scozia e alle reazioni alla sconfitta dei laburisti ha dato una copertura di 296 secondi, e in Francia l'adozione della riforma costituzionale ha avuto su France 2 una copertura di 377 secondi, e in Germania lo scandalo dell'agenzia statale KFW con audizione del governo in Parlamento è stata coperta dall'Ard per 237 secondi, mentre l'incontro in Spagna tra Zapatero e il suo avversario Rajoy è stato coperto con 257 secondi. finito da un bel po' il tempo dei vari Vittorio Orefice, o Ruggero Orlando o Gianni Pasquarelli, che riassumevano in sé la giornata politica italiana.
Gianni Riotta

Oggi i telegiornali Rai sono invasi dalla politica: dichiarazioni; commenti; botta e risposta a ripetizione e di chicchessia, dal leader del partito all'ultimo dei peones in Parlamento o fuori dalle Camere; repliche dell'uno all'altro, e poi controrepliche e via dicendo. Tutto si abbatte su chi segue i tg Rai.
Risultato finale: un terzo del notiziario del Tg1, o del Tg2 o del Tg3, è assorbito dalla politica nelle sue diverse facce. Quando invece in Europa il valore scende a un sesto e con un andamento congiunturale, con variazioni notevoli da giornata in giornata e addirittura arrivando anche a zero notizie di politica.
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Senza titolo (per ora) - 11


(Qui le puntate precedenti)

«Ma che cazz..», borbottò Silvio. Frenò e spense i fari. A metà del lungo rettilineo che tagliava il centro città e arrivava al porto c’era il comando dei carabinieri, un palazzone di architettura fascistoide, tutto fregi e finte colonne, sormontato da orribili statue di pietra in pose plastiche e ridicole. Forse l’autore di quelle opere epocali aveva anche le foto nel suo studio e, di tanto in tanto, le guardava con orgoglio o le faceva vedere agli amici artisti. Qualcuno avrebbe dovuto dirgli l’amara verità: facevano cagare. Avrei importato a mie spese un gruppetto di iracheni per tirarle giù come avevano fatto con le statue di Saddam.

Comunque, ogni volta che passavo là davanti c’era sempre un carabiniere tutto leccato di guardia sulla porta. La sua principale occupazione era quella di sminciare le ragazzine. Un giorno mi fermai dall’altra parte della strada e lo tenni d’occhio per un’oretta (non avevo un cazzo da fare, come al solito). Gli passarono davanti trenta sciacquette di età apparente tra i quindici e i venticinque anni, molte “vestite” per modo di dire, con perizomi a vista e tacchi che sembravano trampoli da circo. Ma lui non se ne perse una. Anzi, con qualcuna riuscì pure ad attaccare bottone, confermando la mia teoria che molte donne sono come le gazze. Per attirarle basta qualcosa di luccicante, come i bottoni di una divisa o un’auto figa o gli occhiali da sole a specchio.

Il palazzone fascista era diventato una specie di fortino. Le finestre ai piani bassi erano state sbarrate, come anche le porte d’ingresso. L’amico, se era ancora tra noi, non doveva avere tempo per guardare culetti ora, a meno che non apprezzasse le chiappe rinsecchite che vagavano per strada ultimamente. Di certo doveva essere occupato, perché c’era un bel conflitto a fuoco in corso: da tutte le aperture disponibili, quelli che stavano nel palazzo sparavano a raffiche contro il disco volante, fermo a mezz’aria davanti al palazzo. Pistole, mitra, fucili: sembrava Space Invaders dal vivo. I gorilla avevano già colpito la facciata: un principio d’incendio e un bel buco stavano là a testimoniarlo.

Meglio stare fermi e a distanza di sicurezza, convenimmo io e Silvio. Non eravamo gente da obbedire tacendo e tacendo morire: meglio fottersene tacendo e tacendo sopravvivere. La potenza di fuoco dei carabinieri era impressionante e sul guscio del disco volante brillavano le scintille dei proiettili che rimbalzavano via.
Silvio mi indicò il buco fumante nel palazzo e chiese: «Ci saranno morti?».
«Ma che cazzo vuoi che me ne freghi – sbottai – Quegli asini in divisa mi stanno sulle palle, che li facciano saltare tutti in aria».
«Sei il solito cretino, Ale. Guarda meglio». Prese un binocolo dal suo zaino e me passò. Misi a fuoco e puntai sulla facciata sventrata. Nonostante il buio, riuscivo ad avere una visuale nitida.
«Cosa vedi?», mi domandò Silvio col suo tono supponente.

(11 - continua)
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lunedì 17 novembre 2008

Firenze: "Con 400 euro di pensione, a Capodanno finirò per strada"

400 euro di pensione al mese, 5 sacchi di indumenti da lavare, gli ultimi 3 anni sballottato come un pacco e 4mila euro di debiti: Paolo Polidori, 64 anni, invalido Inps, non ne può più e, a fine anno, potrebbe trovarsi senza un letto dove dormire. Vorrebbe ricostruirsi una vita e trovare un posto dove vivere, ma ha la sensazione di «sbattere sempre contro un muro di gomma».

Fiorentino di San Frediano, ex macellaio, ridotto sul lastrico da un divorzio e dalla malattia che l’ha reso invalido – circostanze che preferisce raccontare senza troppi dettagli – ha trascorso gli ultimi anni in ricoveri “di fortuna” mediante i servizi assistenziali: 2 anni all’ostello San Paolino della Caritas, 7 mesi all’Albergo popolare (trascorsi «senza mai riuscire a lavarmi») e, da maggio, in una casa di riposo a San Domenico. «La retta normale sarebbe di 1600 euro al mese – racconta – La quota che tocca a me è comunque di 450 euro al mese». Ed è già una somma agevolata: Polidori aveva ottenuto una riduzione. «Da 18,90 euro al giorno a 15: bell’aiuto», commenta amaro.

Il debito sul groppone nasce da quest’ultima permanenza: «Quando sono entrato ho pagato 800 euro – spiega – Era tutto quello che potevo, ora ho accumulato 3-4mila euro di morosità». I conti sono presto fatti: Polidori percepisce 443 euro di pensione, ai quali si aggiunge un contributo di 200 euro che gli viene versato dai figli («Non li vedo da 15 anni, ho un nipotino che non ho mai conosciuto», confessa): da questa cifra l’ex macellaio deve pagare le spese per l’igiene personale, le tante medicine – che lo specialista gli prescrive «ma poi le devo comprare io» -, la lavatrice e le sigarette («Sono il mio unico vizio»).

Ma rimane il “buco” da saldare: «Sono correntista alle Poste, ho chiesto un mutuo e me l’hanno negato per via del basso reddito – racconta – Ho chiesto all’Inps la cessione del quinto dello stipendio, ma ho ricevuto un altro no: mi rimane solo prostituirmi, a questo punto». L’arretrato da smaltire non è solo monetario: «Mi trascino 5 sacchi di indumenti e biancheria da lavare, ma non ne ho la possibilità». Per vivere Polidori si affida al buon cuore degli amici e a qualche piccolo espediente. «Mangio dagli amici che mi conoscono e mi fanno pagare quello che posso – dice – Oppure mi offrono un pasto perché sbrigo loro qualche commissione come pagare le bollette». Perché, per esempio, alla mensa Montedomini gli over 65 potrebbero mangiare spendendo solo 1 euro, ma «io non posso, non ho ancora l’età». Alla casa di riposo l’uomo torna solo la sera: «Sono autosufficiente, ma vivo in mezzo ai novantenni». E comunque, prestissimo, Polidori si ritroverà punto e da capo: «Posso stare qui fino al 31 dicembre, poi non so, mi rimetteranno all’Albergo popolare».

È una soluzione che l’uomo, appassionato di telefonia («Mi sono anche proposto alla Tim, ma non mi vogliono perché sono troppo vecchio»), vede come un incubo. «Partecipo ai bandi per le case popolari dal 1982, l’anno in cui ho divorziato», ma senza risultato: «Avevo anche trovato una casetta appena fuori città – racconta - ma se pago l’affitto, poi come mangio?». Perché, alla fine, questo è tutto ciò che Polidori desidera: un tetto sopra la testa, «definitivo, non un mese di qua e un mese di là». Quasi a qualunque costo: «Il Comune non butti giù le baracche abusive – è la provocazione – Ne lasci una in piedi per me».

(da "Il Firenze" del 17 novembre 2008)
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martedì 11 novembre 2008

Travaglio da Santoro la settimana scorsa (recupero)


Recupero il fantastico Travaglio della settimana scorsa, saltato per via del mio viaggio a Brescia. Noi e le elezioni americane: quelli su un altro pianeta siamo noi.
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Omaggio al passato

Il fine settimana trascorso a furoreggiare su Guitar Hero mi ha riportato alla mente quando, da bambini, si ascoltavano in casa della nonna le prime canzoni insieme ai cuginetti. Spesso, soprattutto per i brani più movimentati, si finiva per mimare la musica. Ho un ricordo chiarissimo della mia prima air guitar: non so se sotto ci fossero gli Europe o gli Whitesnake.
Questi tre cialtroni non si avvicinano minimamente alla nostra gioiosa innocenze, ma fanno ridere. E noi non avevamo quelle tremende parrucche.

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Senza titolo (per ora) - 10


(Qui le puntate precedenti)

Robi partì con la katana a mulinello e iniziò a far rotolare teste, ma i mocciosi sanguinosi stavano arrivando. Per guadagnare tempo, mi esibii nella mia apprezzata scivolata alla Pietro Vierchowod. Quando ci provavo nelle partite di calcetto all’oratorio, di solito finiva in rissa istantanea e pugni in bocca. Un tizio che odiavo, una volta, fece un’intera giravolta su se stesso e piombò in terra come un sacco di patate. Rimase a osservare il cielo per due minuti, nell’ansia generale. Poi si alzò, si tolse la polvere di dosso, rassicurò tutti sulle proprie condizioni e mi inseguì fino a casa correndo come una lepre. Altroché se stava bene.

Qui, se rompevo qualche gamba era pure meglio. Così quei bastardi sarebbero caduti e, invece di rialzarsi in tempi biblici - ma comunque rialzarsi - avrebbero iniziato a strisciare. Qualcosa di più facile da controllare. Avevo scoperto che le loro ginocchia cedevano con incredibile facilità: questo trucco mi aveva salvato il culo almeno un paio di volte. Cercai di arrivare al cadavere che stavano smembrando per afferrare qualche pezzo e lanciarlo in modo da trattenere almeno la banda che ci ci stava raggiungendo. Ma non era rimasto un cazzo da lanciare: una specie di copertina di libro senza pagine, in un lago di sangue. Ormai avevo visto e fatto qualsiasi cosa, e mi impressionai ben poco. Robi era preso tra due fuochi. E aveva pure perso una spada. «Me la sbrigo io qui, Ale», mi urlò. «Vai avanti e ti raggiungo!».
Lo vidi scomparire sommerso dal gruppo di cannibali. Io me la diedi a gambe e riparai nel distributore. Doveva esserci da qualche parte uno di quei mostri che andava ancora in giro con una katana conficcata da qualche parte.

Un tonfo mi fece battere la testa sul finestrino e mi richiamò nel mondo reale. Nella corsa verso il porto avevamo urtato una delle tante auto ferme in mezzo alla strada.
«Ehi ci sei, minchione?», mi urlò Silvio dal posto di guida. «Ti tenevo d’occhio, credevo stessi diventando uno di quelli».
«Ti diverti con l’autoscontro, pilota dei miei stivali?», gli risposi massaggiandomi la testa.
«È pieno di macchine abbandonate, qualcuna non riesco a evitarla. Stai bene?»
«Sì, un attimo di stanchezza», gli risposi. Mi avvicinai al posto di guida nel momento in cui un bagliore apparve a circa 200 metri davanti a noi.

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venerdì 7 novembre 2008

Stella: le battute di Silvio l'Incompreso

Convinto che grazie a lui l'Italia sia «il Paese più simpatico del mondo», Silvio Berlusconi si è lanciato ieri in una delle battute che lo fanno ridere assai. E nella scia dell'astuta diplomazia internazionale di due ministri come Umberto Bossi e Roberto Calderoli che da anni chiamano i neri «bingo bongo», ha ieri salutato Barack Obama come uno «che è anche bello, giovane e abbronzato».


Come prenderà la cosa il prossimo presidente americano, al quale il nostro premier si era già offerto di «dare consigli» come usavano i barbieri col «ragazzo spazzola» non si sa. È da quando era piccolo che come tutti i neri sente spiritosaggini del genere: «cioccolato», «carboncino», «palla di neve»... Non ci avesse fatto il callo non sarebbe arrivato alla Casa Bianca. Certo, se il Cavaliere voleva «sdrammatizzare» il primo commento del «suo» capogruppo al Senato Maurizio Gasparri dopo l’elezione («Al Qaeda sarà contenta») non poteva scegliere parole più eccentriche. Fatti i conti col contesto internazionale, è probabile che Obama farà spallucce: boh, stupidaggini all’italiana. Da prendere così, come le barzellette da rappresentanti di aspirapolvere sui lager, i malati di Aids, i froci... L’importante è non prendere sul serio chi le racconta. Esattamente quello che hanno fatto, in questi anni, molti dei protagonisti della scena mondiale. Spesso spiazzati dalle sortite di un uomo che secondo Giuliano Ferrara è «un’opera pop».

Nessuno è mai stato stato così contento di se stesso e così spesso «incompreso» sulla scena mondiale. Basti ricordare quando disse al parlamento europeo che avrebbe proposto a un amico che girava un film sui lager nazisti di dare al socialista Martin Schulz la parte del kapò. Gelo in aula. Interrotto dopo lo stupore da urla d’indignazione. E lui: «Era solo una battuta per cui è scoppiato a ridere l’intero Parlamento. Un’osservazione di venti secondi poiché volevo allentare l’atmosfera... La vicenda è stata enormemente gonfiata dalla sinistra». In realtà, spiegò, «in Italia tengono banco da decenni storielle sull’Olocausto. Gli italiani sanno scherzare sulle tragedie per superarle...». E a quel punto si incazzarono ancora di più gli ebrei. Che difficile, farsi capire... Non lo capirono i ministri degli Esteri europei quando a una riunione a Caceres fece le corna a un collega durante la foto ufficiale: «Volevo far ridere un simpatico gruppo di giovani boy-scout». Non lo capirono i giornalisti russi il giorno che, già ustionati dal numero di cronisti assassinati a Mosca, restarono basiti per il modo in cui reagì alla domanda di una giovane reporter che aveva osato chiedere a Putin se avesse una relazione con una gentile signorina: fece finta di imbracciare un mitra e di dare una sventagliata. Non lo capì il danese Rasmussen quando spiegò che «è anche il primo ministro più bello d’Europa... Penso di presentarlo a mia moglie, perché è molto più bello di Cacciari... Secondo quello che si dice in giro... Povera donna».

E poi non lo capì il giornalista del Times: «Nel bel mezzo del discorso di Chirac in Canada, Berlusconi si è alzato e ha cominciato a distribuire orologi agli altri leader, con un delizioso sprezzo politico». Non lo capirono i palestinesi quando ammiccò: «Arafat mi ha chiesto di dargli una tivù per la striscia di Gaza, gli manderò "Striscia la notizia"». E non lo capì il cronista del giornale russo Kommersant durante la visita di Berlusconi e Putin allo stabilimento Merloni di Lipetsk: «Il premier italiano era particolarmente attivo ed era chiaro che aveva un obiettivo: non sarebbe stato contento se non fosse riuscito ad avvicinarsi ad un gruppo di operaie. Poi rivolto a Putin: "Voglio baciare la lavoratrice più brava e più bella". Aveva già individuato la sua vittima. Si è avvicinato a una donna grande come la Sardegna e con tutto il corpo ha fatto il gesto tipico dei teppisti negli androni bui dei cortili, quando importunano una ragazza che rincasa. Lei s’è scansata ma il signor Berlusconi in passato deve aver fatto esperienza con donne anche più rapide di questa: con due salti ha raggiunto la ragazza e ha iniziato spudoratamente a baciarla in faccia».

Che male c’è? È estroso. Macché: non lo capiscono. Come quella volta che spiegò: «Mi accusano di aver detto che i comunisti mangiano i bambini: leggetevi il libro nero del comunismo e scoprirete che nella Cina di Mao i comunisti non mangiavano i bambini, ma li bollivano per concimare i campi». Non l’avesse mai fatto! Immediato comunicato del ministero degli Esteri cinese: «Siamo contrariati da queste affermazioni infondate. Le parole e le azioni dei leader italiani dovrebbero favorire la stabilità e lo sviluppo di relazioni amichevoli tra la Cina e l’Italia». Uffa, era una battuta... Sul cibo, poi... «Rimpasto? No, grazie, non mi occupo di paste alimentari... Poi, dopo la visita in Arabia Saudita, mangio solo riso in bianco...». E si indispettirono i sauditi. Uffa, che permalosi... Il massimo lo diede sulla sede dell’agenzia alimentare europea che rischiava di finire a Helsinki: «Parma sì che è sinonimo di buona cucina, mentre i finlandesi non sanno nemmeno cos’è il prosciutto. Come si può pensare di collocare questa agenzia in un Paese che forse va molto fiero della renna marinata o del pesce baltico con polenta? Per portare l’Agenzia a Parma ho rispolverato le mie doti di playboy con la presidente finlandese Tarja Halonen». Ed ecco l’incidente diplomatico.

Con tanto di protesta ufficiale e convocazione dell’ambasciatore italiano: come si permetteva? Immediata rappresaglia delle associazioni dei produttori finlandesi: «Non compreremo più vini e oli italiani». E lui: «Ho fatto solo una battuta di galanteria. C’è una mancanza di sense of humour...». In fondo si tratta di strategia internazionale. «Cazzeggio strategy», diciamo. Mica le capisce, certe reazioni. Lui, quando a un vertice è saltata fuori la storia che è bassotto mica se l’è presa. Si è tolto una scarpa, l’ha messa sul tavolo e l’ha mostrata a tutti: «Visto? Non ce li ho i tacchi alti. È che mi dipingono così».

Gian Antonio Stella

(Fonte: Corriere.it)

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Firenze: in 4mila per Sabina Guzzanti

«Di voi hanno paura, continuate senza fermarvi e senza stancarvi finché non avrete ottenuto quello che chiedete»: davanti ai 4mila accorsi in piazza della Signoria per la sua speciale lezione, Sabina Guzzanti esorta i ragazzi del movimento ad andare avanti nella loro protesta contro la riforma Gelmini: «Ma non preoccupatevi di come i giornali vi raccontino», raccomanda. L’attrice e regista arriva nel cuore di Firenze a mezzogiorno in punto, seguita da una troupe di 5 cameramen: l’idea è quella di «fare un documentario sull’Italia di oggi».

Parla per due ore: racconta gli inizi, risponde a tante domande, ascolta i ragazzi all’ombra del Biancone, dove due settimane fa aveva parlato l’astrofisica Margherita Hack. È un intervento quasi a ruota libera, applauditissimo, che ha i suoi punti fermi nella feroce critica al mondo dell’informazione e nella denuncia che l’Italia diventi un «regime semi dittatoriale». «I media sono in malafede, i giornalisti sotto controllo – dice la Guzzanti – L’informazione è solo spot per i politici, non c’è chi faccia domande: se le fanno, li sbattono fuori».

La censura è sempre incombente per le voci fuori dal coro: «Se dici cose scomode, cercano di distruggere la tua reputazione ma non ribattono mai nel merito - tuona l’attrice – Si inventano dibattiti pretestuosi sulla legittimità della satira: tutte le volte che una persona parla liberamente scoppia un casino». Il nostro paese si sta trasformando «in un regime autoritario», dove è tutto distorto: «Vittorio Mangano diventa un eroe e Saviano invece è un rompiscatole». «Il potere delle parole è enorme», ricorda l’autrice di “Viva Zapatero”. Ed è per questo che gli studenti che si stanno mobilitando contro il governo Berlusconi non devono cercare la visibilità a tutti i costi: «Non è un valore da rincorrere – ammonisce – Se le cose che si fanno sono importanti, arriva comunque: volete cambiare le cose o stare sui giornali?» Gli italiani sono un popolo «seduto, viziato e borbottante, che non combatte, non fa la fatica di parlare e pensare».

Mentre parla esibisce una maglietta di Obama: «Negli Usa c’é Obama, noi invece aspettiamo sempre un leader che ci salvi, ma se qualcuno doveva arrivare sarebbe già arrivato». Voi, la Guzzanti esorta così i ragazzi, «fate sentire la vostra forza, spiegate cosa significa dialogo a questi adulti marci per i quali è solo inciucio e complicità». E, soprattutto, «studiate tanto, non solo in modo scolastico: andate a teatro, viaggiate, ascoltate musica, senza rimanere incollati per ore davanti a uno schermo».

Tra quelli che applaudono c’è Dacia, studentessa 21enne di psicologia: «Ha ragione sulla visibilità, però per noi farci vedere ora è importante». Francesco e Michela, ventenni iscritti a Chimica del restauro, promuovono la prof Guzzanti: «Ha una visione lucida dei media, noi siamo inesperti e la sua esperienza ci aiuta, ci dà la spinta per continuare», dicono. L’ex sessantottino Vito, insegnante in pensione, apprezza «l’incitazione a continuare a lavorare e a manifestare con creatività». Gli studenti fiorentini non mollano: «Il governo non ascolta – annuncia Francesco Epifani degli Studenti di sinistra, organizzatori della lezione in piazza - La mobilitazione andrà avanti fino a Natale».

(da "Il Firenze" del 7 novembre 2008)

Qui tutte le foto che ho scattato ieri.
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giovedì 6 novembre 2008

Firenze: professori lavavetri per un giorno, ma con i rumeni


Sembra la prima protesta con figuranti mai vista a Firenze: i veri lavavetri in campo coi ricercatori universitari muniti di spatoline per “vederci più chiaro” sui tagli all’università pubblica proposti dal ministro Gelmini. Ma quello andato in scena ieri al semaforo di viale Guidoni, di fronte al polo sociale di Novoli, è soltanto un curioso cortocircuito. Un’occasione ghiotta che alcuni ragazzi rumeni – di solito mendicano tra le auto in quell’incrocio – colgono lesti come faine: attrezzi nuovi fiammanti e secchi per un ritorno agli antichi mestieri.

La dozzina di docenti di Storie politiche fanno buon viso a (ben poco) cattivo gioco: la presenza dei professionisti del settore, alla fine dei conti, regala realismo alla loro protesta contro «l’indebolimento dell’università che danneggia tutti». Anche gli automobilisti guardano incuriositi i tandem che puliscono e – a seconda dei casi – lasciano un volantino oppure chiedono qualche spicciolo. «Non mi danno fastidio né gli uni né gli altri», sorride uno. «Mi hanno fregato», così uno si lamenta del cristallo pulito. «In molti ci esortano ad andare avanti», racconta Chiara Rapallini, una delle promotrici dell’originale protesta. «Attenti che arriva la polizia e vi arrestano», avverte un signore dal finestrino.

Due vigili in moto tirano dritti, forse distratti o poco in vena di mostrare i muscoli, ma poi la polizia arriva davvero: una volante, attirata dai rumeni. Quelli, con la stessa velocità con cui avevano afferrato spazzole e spugne, le gettano nei secchi e fanno finta di nulla. Dieci minuti dopo, ripartiti i poliziotti, tornano a dare man forte ai “colleghi per un giorno” che esibiscono cartelli come “ricercatore in cerca di futuro”. «Vogliamo far capire a chi è esterno al nostro mondo che questi tagli colpiscono tutto il paese», dice Anna Pettini, associata di Economia politica.

Dopo un’oretta i prof tornano in Facoltà e gli altri tirano le somme. «Oggi a secco», si lamenta Viorel, 25 anni, originario di un paese vicino a Bucarest. È un habitué del semaforo: «Ho lavato vetri per cinque anni, ora passo col bicchierino a chiedere monete», racconta. L’incasso è buono, anche «50-60 euro al giorno» che sono serviti – così dice - «per il mio bambino ricoverato a Careggi». Per lui è l’ultimo giorno ai semafori, assicura: «Domani torno in Romania, mio padre mi ha trovato un lavoro». Ma Viorel e i suoi compagni mettono via un paio di spugne e un secchio “regalati” dai ricercatori: nella vita non si sa mai.

(da "Il Firenze" del 6 novembre 2008)
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martedì 4 novembre 2008

Senza titolo (per ora) - 9


(Qui le puntate precedenti)

Amen. Bell’aiuto che ti ho dato, fratello, pensai. Con una tanica di benzina e una pisciata sulle tue cose avrei potuto finire il lavoro e rendere orgogliosi gli amici coi capelli rasati. Era la prima volta, in quella notte da incubo, che pensavo al significato delle mie azioni. Da quando ero fuggito di casa - e mi ero avventurato in giro con Robi mentre le cose precipitavano - avevo lasciato dietro di me una scia di sangue e cadaveri annientati: avevo decapitato, sprangato, colpito e ucciso almeno cinquanta zombie. Uno assai malandato lo avevo spinto per terra e l’avevo preso a calci in testa.

Avevo finito il lavoro col crick di una macchina che era stata abbandonata con tutte le portiere aperte: giù colpi, finché non aveva smesso di muoversi. Mai mi era saltato in testa che quella creatura su cui mi stavo accanendo fosse - o fosse stato - un essere umano. Robi, che era entrato in trip da samurai, si divertiva col set di spade giapponesi comprato dopo aver visto per tre volte di fila la prima parte di Kill Bill. Sembrava che non aspettasse altro che di maneggiare quelle cavolo di armi che teneva appese in camera. Usava la katana per infilzare e tenere a distanza la vittima, normalmente colpendola da dietro. Poi conficcava la spada corta - «Wakizashi, Ale: si chiama così», ripeteva fino allo sfinimento, lui che del Giappone, prima di quel film, conosceva solo Goldrake, Lupin III e quella storia delle mutandine commestibili – in un occhio del morto, dritta fino al cervello e all’inferno.

Si muoveva con eleganza, come se ripetesse quei gesti a memoria. Me lo immaginavo a casa sua che provava e riprovava a mulinare quegli affari. Forse faceva come quei cuochi che ti vendono i coltelli in televisione: acrobazie, zucche tagliate in volo, mele spaccate in quattro. Roba alla Ghemon, insomma.
Quella tattica però funzionava quando incontravamo qualche morto solitario, di quelli appena risorti e poco reattivi. Con gli “anziani”, quelli che si erano zombificati da più tempo, era inutile: se te ne arrivavano addosso quattro insieme, o diventavi la fottuta dea Kali con otto braccia e altrettanto spade a centrifuga multipla, o dovevi solo correre. Correre e sperare di non incappare in un altro gruppo di bastardi pronti a mangiarti. Correre alla ricerca di qualcosa che li distraesse da te.

Ma quello non capiva più un cazzo, tra spade e shuriken che lanciava inutilmente in giro credendosi Sasuke guerriero coraggioso. Occupati come eravamo nel seminare una cricchetta di ragazzini che voleva fare merenda con noi, finimmo in mezzo a un gruppo di puzzoni che stava pasteggiando a sangue e frattaglie davanti alla mensa universitaria. «Potevate almeno entrare e usare un tavolo», pensai mentre quelli ci guardavano quasi sorpresi da tanta fortuna: noi stronzi gli eravamo andati dritti in bocca.

(9- continua)
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lunedì 3 novembre 2008

Dopo la bolgia di Lucca Comics 2008

Sono sopravvissuto alla mia seconda discesa a Lucca Comics 2008. Anche quest'anno non ho avuto tempo per visitare i padiglioni di Lucca Games, travolto dalla bolgia e dalle mille cose da seguire. Mi sono aggirato come un bambino in un negozio di giocattoli, ho scialacquato qualche soldino e ho passato due belle giornate.


Ecco qualche (inutile) valutazione sparsa.
1) La location è meravigliosa. Il centro storico di Lucca, che di suo è bellissimo, diventa una specie di gabbia di matti per 4 giorni. La manifestazione si trasforma così una grande festa, con tanti cosplayer in giro e i padiglioni sparsi per le suggestive vie della città. Questa è assolutamente la formula da proseguire.


2) Dal punto di vista organizzativo, ci sono diverse cose da rivedere. Per esempio, l'ubicazione delle biglietterie e il sistema "biglietto+braccialetto", che ha costretto moltissime persone a sopportare due file chilometriche per guadagnarsi l'accesso. Poi, considerando che Lucca non è una metropoli, non dovrebbe essere permesso alle auto di arrivare a ridosso del centro storico. Il traffico dei festanti dovrebbe essere deviato su qualche parcheggio più fuori mano (anche chiudendo l'uscita autostradale di Lucca Est, per esempio), da collegare con un intenso servizio di bus navetta.


3) Tra l'altro, a qualcuno dovrebbe saltare in testa che - forse - dalle zone limitrofe tipo Pisa, Firenze etc, la mobilità migliore potrebbe essere quella ferroviaria: ma se non si fa pressione su Trenitalia perchè tiri fuori qualche treno speciale, il sabato e la domenica il viaggio in treno diventa un'immensa scazzottata per saltare a bordo e strappare una seggiola. Battaglia obbligatoria: c'è un solo treno all'ora verso Firenze, per esempio.


4) Va rivisto l'accesso ai padiglioni, o questi vanno progettati in modo diverso. Nella giornata di sabato, con una folla oceanica, era impossibile visitare alcunchè e l'ingresso nelle varie aree della fiera non era minimamente regolamentato. Con una folla così immensa, anche per gli espositori c'era qualche problema a controllare e servire la clientela.


5) I "meet&greet" con gli autori. Farli in piccoli spazi appiccicati agli stand degli editori è una follia completa. I padiglioni sono già abbastanza intasati di gente e non hanno bisogno di blocchi di persone ammassate stile Tetris per un disegnetto. Si dovrebbe pensare a uno spazio apposito e a parte per disegnini e autografi, con un programma chiaro e più o meno definito delle varie ospitate: così saprei che alle 12 posso trovare Leo Ortolani (ma devo prenotarmi entro le 11) e che, 5 minuti dopo, c'è anche qualche disegnatore giapponese. Le case editrici porterebbero di volta in volta gli albi degli autori presenti (così giustamente vendono) e tutta la cosa sarebbe leggermente più governabile e razionale.


Per il resto, Lucca Comics rimane una bellissima esperienza per chi è appassionato di fumetti, cartoni animati e giochi. Soffre ancora di quell'inerstipabile percentuale di dilettantismo che affligge quasi tutte le iniziative allestite in terra italica e, quest'anno, complice la pioggia, qualcosa è sicuramente andato storto. Ma c'è fame di manifestazioni di questo genere e la meravigliosa cornice fa quasi perdonare tanti piccoli difettucci.

(Per qualche altra foto, cliccate qui.) Continua a leggere