venerdì 31 ottobre 2008

Basta... basta... per pietà...


Questa ancora scrive... Dall'Unione di oggi. Oddio, oddio...

Personaggi. Nel 2002 scalò le classifiche con “Mon petit garçon”
Yu Yu, anoressia andata e ritorno
«Finito il successo, sono precipitata nell'incubo»

Quando ho smesso di contare, dice Giuditta Guizzetti, ho iniziato a contare le calorie - e muove piano le dita sottili, mentre azzarda un sorriso senza morbizze. Perché quando contava, cantava. E si faceva chiamare Yu Yu, ed era tutta un muoversi su parolette francesi e leziosismi e ciglia ciglia. Era il 2002, l'estate del 2002 (che vuol dire discoteche in riva al mare, classifiche d'agosto, Festivalbar di piazza in piazza) - mon petit garçon pour toute la vie garçon .


Un successo? Sì, grazie. Ma uno di quei successi che si chiamano tormentoni, perché per un'estate lunga un pugno di mesi suonano a mezzogiorno e a mezzanotte: poi: più niente.
Quel niente, per Yu Yu, vuol dire ritornare a essere Guiditta Guizzetti, professione hostess. Carina come tante, simpatiche come tante, in fila come tante. «E allora la bestia è uscita fuori».


L'anoressia.
La bestia.
«È un animale feroce che si porta dietro la sofferenza che covi dentro. Ti fa sentire come una farfalla rovesciata nel suo bozzolo. Con l'unico desiderio di sparire».
L'anoressia.
La bestia.
«Non dà tregua. Non so ancora la causa profonda. Ma il disastro si è scatenato quando non avuto più successo. Forse non ero pronta a non essere più famosa. Dopo le prime due canzoni non mi hanno più richiamata. Ho inciso un altro brano che non è andato bene: ho cambiato casa discografica: non è servito a nulla. Gli amici? Spariti tutti. E questo mi ha annientato. Non contavo più nulla. E allora, quando ho smesso di contare, ho iniziato a contare le calorie».

L'anoressia.
La bestia.
«Un pomodoro a metà. Una mela a metà. Una zucchina a metà. La bilancia è diventata un'ossessione. Mi sentivo grassa, ma ero pelle e ossa. Fino a svenire e non rialzarmi più».
L'anoressia.
La bestia.


«C'è stato solo un breve spiraglio di luce: la notizia della mia gravidanza. Ma il mio corpo era troppo fragile e ho perso il bambino. Da lì è iniziato il mio lento suicidio. Ma arrivata a 36 chili mani esperte si sono prese cura di me. Non ho avuto la forza di oppormi».


A Palazzo Francisci, a Todi, Giuditta Guizzetti è tornata a vivere una vita nuova - altra e diversa. «Bisogna toccare il fondo per risalire. Yuyu non c'è più. Anzi: io Yuyu la sto usando: sfrutto la sua fama per portare avanti la mia battaglia. Adesso c'è solo Giuditta. Quella vera. Che vuole entrare nel frastuono delle discoteche e nel silenzio delle camerette: voglio arrivare alle ragazzine, voglio lottare con loro. L'anoressia è una bestia: va domata e rinchiusa in gabbia. Ho scritto un libro: Il cucchiaio è una culla (ed. Aliberti, già in libreria): è il mio viaggio nell'anoressia. Andata e ritorno».

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Il solito, inappuntabile Travaglio da Santoro

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giovedì 30 ottobre 2008

Firenze: la città ostaggio degli studenti, traffico in tilt

Sono in mille e, dietro uno striscione, per ore mandano in tilt il traffico nei viali di Firenze. Sono gli studenti del polo universitario di Novoli che partono in corteo spontaneo appena arriva la notizia che il Senato ha approvato il decreto Gelmini. La loro è la manifestazione più eclatante di una giornata in cui la mobilitazione di ragazzi e professori di scuole e università prosegue ai quattro angoli della città.

Si protesta, per esempio, con una biciclettata mattutina per il centro storico, alla quale partecipano «per solidarietà» anche una ventina di dottorandi italiani e stranieri dell’Istituto europeo di Fiesole. All’alberghiero Saffi, zona Campo di Marte, docenti e studenti invece si incatenano ai cancelli della scuola. Da loro i risultati dei tagli si vedranno già dall’anno prossimo: «Verranno diminuite le ore di sperimentazione e i laboratori», dice il docente di Lettere Massimo Migliarino. «Non potremo fare abbastanza pratica – denuncia lo studente Roberto – Facciamo 204 ore di stage in azienda: è dove impariamo davvero il lavoro».

Novoli è però il vero fulcro della protesta. Si parte alle 11, appena il Senato dice sì: le strade adiacenti il polo universitario vengono bloccate. Poi la rabbia prende il sopravvento e si improvvisa un corteo al grido di “Dalle elementari alle università, contro la Gelmini blocchiamo la città”. E lo fanno sul serio: partiti in poche centinaia, senza una meta definita, si lanciano sui viali e mettono sotto scacco la circolazione.

È una protesta di “pancia”, non pianificata, ma pacifica e rumorosa: tanti altri si aggiungono lungo il cammino. Vigili e poliziotti in borghese scortano discretamente il corteo e cercano soluzioni volanti alla chiusura dei viali verso l’Arno. Dietro i ragazzi si forma una fila infinita di mezzi a passo d’uomo: si nota una corriera diretta a Greve in Chianti, in ritardo incalcolabile.

Tra un coro contro la Gelmini e uno contro Berlusconi, si decide la strada: «Andiamo alla Rai!», grida uno al megafono all’altezza del Cimitero degli inglesi. La risposta è un sì unanime ed entusiasta. Ma, superata piazza Beccaria, l’idea di proseguire fino a Varlungo dopo chilometri di marcia e canti perde quota. Allora svolta verso il lungarno della Zecca vecchia: «Occu-pia-mo Pa-laz-zo Vec-chio!», scandiscono in coro gli autobattezzatisi “facinorosi”.

Dai lati della strada tanti applausi e saluti, anche dalle auto che filano nella corsia opposta. Un anziano ciclista scorre davanti al corteo e saluta: «Bravi figlioli, bravi». Davanti a tutti cammina un ragazzo cinese: il suo nome italianizzato è Lucio, ha 21 anni e dall’anno scorso studia economia a Firenze. Riprende tutta la maratona con un telefonino all’ultimo grido («Voglio mettere i filmati su You Tube», dice) e ne sposa le ragioni: «Non è l’università che deve pagare il conto».

La lunga marcia si conclude in piazza della Signoria, con un sit in. Oggi in tanti saranno a Roma, gli altri manifesteranno ancora: appuntamento alle 10 in piazza San Marco. Gli studenti non mollano e cantano: «La protesta continua».

(da "Il Firenze" del 30 ottobre 2008)

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Grissom a Casteddu


Viviamo attanagliati dalla paura. In una scuola cagliaritana notano una macchia scura e puzzolente. Cosa verrebbe automatico pensare, soprattutto se l'edificio è in qualche zona periferica e mal frequentata? L'attentato, ovvio (come no).

Ci racconta l'Unione Sarda di ieri: "La sostanza è stata raccolta, sigillata e analizzata. Dai primi riscontri della Asl 8 sembra che si tratti di rifiuti organici fermentati". Ma, "per alcuni interminabili attimi nel cortile dell'istituto tecnico industriale Giua circolava un'ipotesi inquietante: «attentato». Intanto, dentro all'edificio di via Montecassino a Pirri, evacuato per precauzione dai vigili del fuoco e dalla polizia, i pompieri del nucleo Nbcr (Nucleare biologico chimico radiologico) stavano controllando la sostanza che, poco prima delle 15,30, aveva fatto scattare l'allarme: una striscia marrone lunga due metri puzzolente".

Incredibile, si trattava di una "sostanza tossica, come rilevato dalle apparecchiature degli uomini del Nbcr". I valori di tossicità "sono molto bassi". Ci vogliono due ore di gente in giro per la scuola con le tute spaziali per capire cos'è successo: "Quello che è stato ritrovato da una docente sul pavimento di un corridoio dovrebbe essere spazzatura organica tenuta per giorni e giorni da qualche parte e rovesciata all'interno della scuola".
Insomma, un casino terribile per un po' vomito stantio. C'è gente che ha visto troppi episodi di Csi.
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martedì 28 ottobre 2008

Firenze: maratona sui libri, 24 ore non stop contro la Gelmini


Siamo lontani dal record di 120 ore filate stabilito l’anno scorso da un professore indiano con doti da fachiro, ma la non stop di 24 ore di lezioni scientifiche che si conclude stamane alle otto e trenta nel dipartimento di Matematica di viale Morgagni non puntava al Guinness. L’obiettivo di studenti e professori era invece protestare con lo studio contro il ministro Maria Stella Gelmini e la riforma che sta mobilitando scuole e università di tutta Italia.

Il record c’è comunque, perché in centinaia affollano l’aula 1 dell’edificio “Ulisse Dini” mentre si alternano ordinari e ricercatori. Anzi, in certi momenti della giornata l’afflusso è tale –anche 500 persone, con tanti genitori e professori di altre facoltà - da richiedere il dirottamento di parte del pubblico in un’aula adiacente, servita da computer e videoproiettore: nulla è lasciato al caso, la non-stop va in diretta pure su Internet.

Per affrontare la lunga notte - nella quale il “palinsesto” strategicamente prevede argomenti curiosi come “Chi ha paura di Darwin”, “Geometria tropicale”, “La fisica sotto il naso” - la riserva di caffè è quasi inesauribile. E i sopravvissuti alla lunga marcia della scienza «troveranno la colazione ad attenderli», dicono al banchetto posto all’ingresso dell’aula. Il barista sarà però chiamato al superlavoro: in tanti prevedono di affrontare la full immersion sui banchi. «Starò tutta la notte – dice Paolo, matricola di Fisica - È la mia maniera di manifestare dissenso sulla riforma in modo pacifico».

Il collega Luigi al primo anno della specialistica in Matematica ha messo radici: «Sono qui da stamattina, ho seguito tutte le lezioni – racconta – Spero di farcela a reggere fino alle cinque e mezza: vorrei seguire “Mentire con la statistica”». Viola e Laura, matricole di Matematica e Fisica contano di resistere «fino alle undici e mezza, mezzanotte: è un’iniziativa bellissima, anche se qualche lezione è troppo tecnica». La lezione più seguita durante la giornata è quella dedicata alla risoluzione del cubo di Rubik dal ricercatore Emanuele Paolini. Altri, forse memori degli exploit dei poliziotti di CSI, puntano a “Il contributo della zoologia nelle investigazioni scientifiche”. Ora d’inizio improba: le quattro e trenta del mattino, ma nessuno si spaventa.

L’entusiasmo non è solo quello degli studenti: anche i professori chiamati al tour de force non si limitano al compitino di un’ora, ma si fermano ad assistere agli interventi dei colleghi. «È un’iniziativa insolita, fatta in circostanze speciali, con cui proponiamo un apprendimento ad ampio spettro», commenta Roberto Livi, ordinario di Fisica Statistica. «Sono stupito dalla risposta dei ragazzi: hanno fame di cultura», aggiunge. Per il collega Roberto Casalbuoni, che ha la cattedra di Fisica Teorica, si tratta «di un’iniziativa culturalmente molto valida, da ripetere: a parte il contesto di protesta, è raro organizzare conferenze di questo genere». Intanto, i giovani di Forza Italia distribuiranno oggi 10mila cartoline indirizzate al rettore “contro le occupazioni”. Nessuno deve averli avvisati che, dalla prossima settimana, in molte facoltà le lezioni riprenderanno regolarmente.

(da "Il Firenze" del 28 ottobre 2008)
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lunedì 27 ottobre 2008

Le canzoni più brutte della nostra vita - 2


Chi mi conosce da tempo è al corrente dell'incondizionata adorazione per i Kiss che ho sviluppato fin dalla prima adolescenza. Però sono salito a bordo nel loro periodo peggiore: a casa ho ancora gli lp d'epoca di Crazy Nights, Asylum, Animalize. Roba terribilmente anni '80, in cui un gruppo incalzato da una nidiata di musicisti più giovani e più affamati tentava di restare a galla: indurendo il sound (come in Animalize, forse il meno peggio del lotto), buttandosi sul glam alla Motley Crue in Asylum (dove si salvano due canzoni, ad essere buoni) e finendo per annacquare tutto con una bella dose di pop, sintetizzatori, video sbrillucicanti e capelli alti tre metri con Crazy Nights.

Per suggellare questo momento molto pop e molto ridicolo i nostri tirarono fuori nel 1988 un'antologia intitolata "Smashes, trashes and hits": una schifezza già dalla copertina. Ci sarebbe, prima di tutto, da dare la caccia a chi remixò le vecchie canzoni degli anni Settanta per renderle più leggere. Ma si dovrebbe anche perseguire Paul Stanley per i due tremendi inediti con cui "arricchì" quella raccolta. "Let's put the X in sex" è tra le più ignobili canzonette mai sentite in ambito rock e appartiene sicuramente alle "trashes" del titolo: brani tenuti nel cassetto e che là sarebbero dovuti rimanere, chiusi a chiave per l'eternità.

Invece i Kiss decisero di regalarci quest'emozione. Che non si limitava alla musica, forse scritta in un momento di ubriachezza molesta, ma anche a un testo da concorso di poesia oscena (nel senso della qualità). Bastino la prima strofa col primo chorus: I got a letter just the other day / she sent a picture, but she didn't sign her name / she wore high heels and a little black lace / i knew her body, but i couldn't see her face / she didn't leave a number, not an address or a clue / but something in that photograph reminded me of you.
baby, let's put the x in sex / love's like a muscle and you make me wanna flex / baby, let's put the x in sex / keep it undercover, baby let me be your private eye".

Se tanta grazia non fosse bastata, ecco il secondo "tesoro riscoperto": "(You make me) rock hard", una canzone dove l'unica cosa hard stava nel titolo. Quando, all'epoca ebbi una copia di questa cassettina dal mitico amico Gabriele, partivo con l'ascolto direttamente dal terzo brano (la fantastica "Love Gun") e saltavo a piè pari le due schifezze inedite.

Purtroppo i nostri, nell'evidente tentativo di ramazzare qualche spicciolo in un momento di crisi (finirono a fare gli special guest nei festival europei prima degli Iron Maiden), misero insieme anche i video per questi aborti conditi di sinth di terz'ordine. Chiamarono qualche pollastrella, si dimenticarono di assumere una costumista come si deve (gli stretch di Stanley: OMFG!) e, con l'aria evidentemente annoiata, si agitarono un pochino, ma stando attenti a non rovinare la messa in piega dei capelli. Stanley neppure si portò la chitarra da casa e Simmons passò il tempo a fare finta di suonare mentre si guardava intorno con una faccia da "ma quando finiamo ci sarà il catering?". Del secondo video sono da evidenziare la prestazione da odalisca di Stanley, che sculetta come neanche la Valeria Marini dei tempi d'oro, e la capigliatura del bassista sputafuoco: una comoda parrucca in stile Luigi XIV, a prima vista.

Il risultato è questo obbrobrio che è giustamente caduto nell'oblio cinque minuti dopo la sua diffusione. A tutt'oggi non so se mi facciano più schifo le canzoni o i video.



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domenica 26 ottobre 2008

Perigeo 30 anni dopo


Ieri, dalla generale tristezza del pompatissimo Festival della Creatività di Firenze, sono tornato a casa con qualcosa da ricordare. Ho infatti assistito al concerto di reunion del Perigeo, un gruppo degli anni '70 che conoscevo solo di nome. Di solito considerati un nome di secondo piano della ricchissima scena musicale italiana dell'epoca, i toscani proponevano una musica molto sofisticata, sicuramente poco appetibile al gusto generale. Da qualcuno infilati (un po' a forza) nel filone del prog, Perigeo era più orientato al jazz rock e a qualcosa che somigliava alla fusion.

Ne ho avuto dimostrazione ieri. I quattro del Perigeo (più un ragazzo che ha preso, con ottimi risultati, il posto del tastierista originale) sono signori musicisti: il tempo è passato ma la loro musica non è invecchiata. Davanti a un pubblico particolarmente affettuoso per il rientro in scena dal lontano 1976, Perigeo ha suonato un po' di vecchi brani "perchè è meglio così", ha detto il contrabbassista Giovanni Tommaso. E mi ha fatto venire voglia di recuperare i loro dischi migliori.

Da You Tube un assaggio d'annata:


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giovedì 23 ottobre 2008

Come se non bastasse l'alluvione...


Ecco la stampa libera e scapigliata che non si nasconde dietro un dito quando si tratta di rivelare scottanti verità taciute. Dall'Unione Sarda di oggi (e sì, è sempre lei).


Albakiara”, la peggio gioventù

Sesso, droga e rock'n'roll (ma Vasco non c'entra)


Chiara passa in mezzo a due gorilla boni e gli si struscia contro prepotente. Ride un sacco. Ingoia un'altra pasticchetta, se la passa da bocca a bocca con Anna, con la lingua, per eccitare un paio di ragazzi e va avanti. Deve dare spintonate per raggiungere il centro della pista. È perduta nella folla. Il rumore e le canzoni vanno a palla.
Chiara.
Chiara che gode nel sentirsi persa e bella di vita e di morte.
Chiara ha una madre che sta con uno e chissà chi è; ha un padre che sta con una e chissà dov'è.
Chiara vive a Bologna; bel condominio borghese; appartamento tipo trivano più salone e terrazze.
Chiara ha cinquanta euro in tasca tutte le volte che vuole; così si compra il perizoma di pizzo piccolo piccolo; le pasticchette quando non ha voglia di cocaina; la cocaina quando non ha voglia di pasticchette.
Chiara ha un fidanzato che si chiama Niko e fa ingegneria e pure il dj: lo ama, dice, altroché se lo ama. Però fa sesso con Miki e Zippo insieme; e con quello e quella, e con quello e con quello, e con quella e con quella.
Chiara ha diciassette anni; o forse sedici; o forse quindici.
Chiara potrebbe essere vostra figlia.
Benvenuti nel mondo storto di Stefano Salvati, regista e scrittore che la cosa più facile è definire un anti-Moccia. Perché questo mondo di adolescenti sbagliati che racconta c'è davvero - come c'è davvero anche l'altro mondo, quello morbido e rotondo e profumato della Roma di Ponte Milvio e baci al traminer. E Albakiara , così, con la k, per rendere maledetta l' Albachiara di Vasco che respira piano per non far rumore, arriva domani al cinema, dopo essere già diventata un romanzo, scandalo e tormento di genitori e ragazzine. Eppure la storia c'è: è un fumettone nero e violento, c'è il traffico di droga, c'è l'ispettore corrotto, c'è tanto sangue: non c'è redenzione. Ma quello che colpisce forte come un cazzotto è altro, sono questi adolescenti divorati dal sesso eppure affamati d'amore, così fragili, così sbagliati, così sghimbesci. Sullo schermo lei ha la faccia di Laura Gigante, lui è Davide Rossi, l'ispettore Raz Degan. Tutti azzeccati, così belli, così dannati - e Davide, che di Vasco è il figlio, sta al momento giusto nel posto giusto. Ci dice Salvati: «Mescolo i generi, esattamente come fa la vita, soprattutto quella dei nostri giorni: commedia, thriller, erotismo». Preferire Moccia è più comodo. Albakiara ci fa male.
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A passo di lumaca


Alla faccia del luogo comune: da due giorni attendo un pacco espresso e il sito delle Poste, dove sarebbe tracciabile, continua a dirmi soltanto che è partito da Cagliari. I miei genitori, che l'hanno spedito, hanno speso 18 euro per la formula Paccocelere 1: questo significa che la consegna dovrebbe avvenire "entro 1 giorno lavorativo successivo a quello di spedizione" (così leggo dal sito delle Poste). Il pacco è stato accettato lunedì, fate un po' i calcoli.

Fosse un caso isolato, non avrei nulla da dire. Gli incidenti capitano. Ma, poche settimane fa, una raccomandata cagliaritana ha impiegato quasi due settimane per raggiungermi a Firenze. E un altro pacco si è fatto sospirare un mesetto fa. Se aggiungo a questi episodi l'assoluta incertezza che domina le consegne della corrispondenza a mia sorella, che vive a due passi da Brescia (e riceve la posta forse due volte al mese o deve andare a prendersela all'ufficio), mi viene da pensare che la tracciabilità della corrispondenza, il restyling degli uffici postali e tutta l'altra fuffa, sia solo questo: gassosa, specchietti per le allodole. La qualità del servizio rimane quella di 20 anni fa, quando affidare alla posta un qualsiasi oggetto era equivalente a metterlo in una cesta e buttarlo in mare.

Ps: dimenticavo che un libro speditomi dai miei genitori in occasione del mio compleanno si è volatilizzato senza lasciare traccia..
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Maria Stella, astro della discordia

Sarebbe roba da “qual è il colmo per..”: non capita tutti i giorni, infatti, che un’astrofisica riceva accoglienze da autentica stella. Ma così è: i duemila radunati in piazza della Signoria ieri pomeriggio tributano una calorosa ovazione a Margherita Hack appena spunta dal piazzale degli Uffizi. È venuta a sostenere la causa di studenti e professori che contestano la riforma Gelmini in un autentico tour de force: ieri, prima l’incontro con gli studenti delle superiori alla “Stazione delle Idee”, poi la lezione davanti a Palazzo Vecchio e oggi la visita al polo scientifico di Sesto.

Nonostante qualche acciacco – gli anni sono comunque 86 – la scienziata fiorentina ricambia gli applausi con grande energia e, prima di iniziare la sua lezione sull’astrofisica, rifila un paio di sonori sganassoni a Berlusconi. «Questa è un’occasione terribile per il nostro paese – tuona – Siamo alla falsa democrazia, perché la riforma è stata fatta con un decreto legge, che non è passato per il Parlamento e non è stato discusso con chi lavora a scuola o nell’università».

La Hack spera che la mobilitazione di tanti giovani «apra gli occhi di chi ancora approva questo governo vergognoso, di arroganti e ignoranti». Perché ha decretato «la morte della ricerca e dell’università» in un paese dove «i finanziamenti sono già la metà rispetto altri paesi europei»: «Saremo un bel popolo di ignoranti, diventeremo un paese in via di sottosviluppo», mitraglia l’astrofisica. Ogni invettiva contro «la destra infame» (boato della folla) è scandita dagli applausi dei tanti che si assiepano davanti al Biancone: vengono da tutte le facoltà (occupate e non), professori e ricercatori - alcuni in giacca e cravatta, altri che scattano foto – siedono insieme agli studenti.

Per Lapo, ricercatore di Fisica nella facoltà di Scienze «é importante che una persona che ha dato lustro alla scienza sia qui, nella prima città che si è mossa contro la riforma». C’è anche una rumorosa rappresentanza delle superiori, docenti compresi. Dalla sua bici Chiara, che è laureata in Matematica e fa sostegno per le materie scientifiche all’istituto d’arte di Sesto, ascolta le parole di Margherita Hack e approva: «La sua testimonianza serve a dare rilievo a una protesta giusta – commenta – L’opinione pubblica non capisce la rilevanza di un cambiamento tanto grande e tanto rapido».

Ci sono anche molti curiosi, come l’infermiere in pensione Cesare, curioso di vedere da vicino «una persona tanto intelligente»: «Condivido questa protesta – afferma – Anzi, ci vorrebbero manifestazioni così tutti i giorni». Almeno per i prossimi giorni il battagliero pensionato sarà accontentato: «La protesta continua», assicura Francesco Epifani degli Studenti di sinistra. «Continueranno le lezioni in piazza, per tutti contro un’università per pochi», spiega. L’iniziativa più curiosa si terrà al polo di via Morgagni: 24 ore non stop di lezione. Dalle otto e trenta di lunedì 27 ottobre alla stessa ora del 28 ottobre, 24 docenti si alterneranno per proporre accattivanti temi scientifici come «Geometria tropicale» o «A cosa servono le zanzare». Perché, come disse Flaiano, la situazione è disperata ma non seria.

(da "Il Firenze" del 23 ottobre 2008)
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mercoledì 22 ottobre 2008

Domo arigato Mr. Roboto


Ieri sono andato a vedere il nuovo film Disney-Pixar, Wall-e. Lo attendevo da mesi, dal primissimo teaser che venne mandato in giro l'anno scorso nel quale il robottino vedeva le stelle per la prima volta.
Non voglio cadere nelle solite cose da blog, perciò non farò nessuna recensione: non ho nessuna particolare verità da rivelare e diffondere al mondo. Però era da un bel po' che un film - dove tra l'altro gran parte dei dialoghi sono rumori elettronici - non mi coinvolgeva così tanto a livello emozionale. Per tante cose mi ha riportato ai tempi in cui, bambino, andai al cinema a vedere "E.T." col mio papà e passai buona parte del film a girarmi e rigirarmi per nascondergli che stavo piangendo come una fontana.

Come piccolo regalo, da You Tube ho pescato i bellissimi titoli di coda, musicati da quell'inarrivabile genio di Peter Gabriel.

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martedì 21 ottobre 2008

Emozioni in musica - 1

Pochi giorni fa ho inaugurato una rubrica dedicata alle "canzoni più brutte della nostra vita". Non si può essere però solo negativi e distruttivi. A volte è bello anche condividere le cose belle che capita di scoprire.
Come già per i Rammstein e la loro orrida corrida, anche stavolta il merito è da attribuire al mio lettore mp3, che ha scelto il momento giusto per farmi sentire "Truenorth" dei No-Man: sul treno, mentre la campagna tra Arezzo e Perugia catturava il mio sguardo e faceva da azzeccatissima cornice a un viaggio musicale.

I No-man sono (ovviamente) sconosciuti ai più. Da poco è uscito, a cinque anni di distanza dal precedente, il loro sesto album "Schoolyard Ghosts". Tim Bowness e Steven Wilson (il mastermind dei Porcupine Tree e dei meravigliosi Blackfield) fanno musica difficilissima da definire, molto evocativa e impregnata di atmosfere oniriche. Forse non è roba per chi apprezza la canzonetta da classifica, ma chiunque cerchi emozioni nella musica apprezzerà il lavoro di questi due geni. Su Youtube ho pescato il video di "Truenorth", editata a misura di radio. Il brano originale dura 12 minuti e mezzo, che scorrono via tra mille suggestioni. Anche così ritagliata fa la sua porca figura.

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Senza titolo (per ora) - 8


(Qui le puntate precedenti)

Già, dovevo capire dove cazzo era finito quel tipo. Basta sogni.
«Hai qualcosa con cui potrei difendermi?», gli chiesi dopo essermi scosso.
«Ma sei scemo?», saltò in aria lui. «Cosa vuoi fare? Vuoi cercarlo? Se vuoi andare fuori, dillo: ti ci sbatto con un calcio in culo e ti lascio qui!».

In quel momento una manata sulla portina posteriore mi fece fare un salto. Il nostro amico era arrivato. Doveva essersi messo a radunare il club delle Giovani marmotte, i compagni delle elementari e la squadra di tiro alla fune dell’oratorio, visto quanto c’aveva messo.
Altre manate. Forti, urgenti. Poi grattava il vetro con le unghie. Voleva entrare. Sembrava un’animale. Quelle portine erano così zozze che non avrei capito che dall’altra parte c’era Pamela Anderson nuda neppure se avesse sbattuto le tette sui vetri e ce le avesse strusciate.

Io e Silvio ci guardammo in silenzio.
«Dallo specchietto non vedo nulla, non capisco chi è», mi sussurrò.
«È uno di loro, non ha detto una parola».
Mi abbassai quasi a quattro zampe e mossi verso il primo sedile dopo la portiera. Feci pianissimo, non volevo che qualche ombra mi tradisse. Con estrema attenzione tirai giù il finestrino del bus il tanto che bastava per sporgere la testa. Era già sotto di me, mi aveva fiutato. Mi guardava con la testa sbilenca, gli occhi morti e fissi. Avevo ragione: era lo straccione che chiedeva le monetine al semaforo. La gamba destra era completamente squarciata, quasi ridotta all’osso. Dovevano averlo preso subito, ma non ho idea di come non l’avessero ridotto a brandelli. Poveraccio, una vita di merda e neanche da morto riesce a trovare pace, pensai. Ma, cazzo, eravamo nei guai: se c’era uno zombi, gli altri non erano lontani.

Alzò le braccia rigidissime e con un ringhio cercò di afferrarmi. Le mani mi passarono ben lontane dalla faccia. Se avesse saltato, ce l’avrebbe fatta. Ma neanche Michael Jordan, da morto, ci avrebbe deliziato nella gara delle schiacciate.
Rimisi dentro la testa. «È il mendicante che batteva questi semafori», dissi a Silvio.
Inarcò le sopracciglia: «E gli sembra il momento di chiedere soldi?».
Vide la mia espressione attonita e scoppiò a ridere. «C’eri cascato, eh?». Inserì la marcia. «Ce ne andiamo prima che arrivino gli altri invitati alla festa».
«Lo lasciamo qui?».
«No: facciamolo salire, ma controlla che abbia il biglietto», mi rispose stizzito Silvio.

Fanculo, pensai. ‘Sto povero cristo non dava fastidio a nessuno. Leggeva i suoi giornaletti di Zagor e elemosinava qualche spicciolo dalle macchine ferme al semaforo. Quando era fortunato, riusciva anche a dormire senza che nessun bastardo andasse a prenderlo a sprangate o a incendiare la tenda dove viveva. Sarà stato così ubriaco che non avrà capito cosa gli è successo quando quei mostri del cazzo gli sono saltati addosso. In qualsiasi modo finisca questa storia, voglio lasciarlo qui o voglio fare qualcosa, per quanto sia crudele?

«Dammi solo un minuto, stronzo», dissi a Silvio. Mi sporsi col bastone che mi portavo dietro da quando ero nascosto nel distributore. Il mendicante alzò le braccia come se volesse acchiappare la pentolaccia. Strinsi la clava a due mani, mi sporsi il più possibile e gliela calai come meglio potei sul cranio. Sentii un rumore disgustoso e un rantolo. Lo zombie cadde riverso per terra, ma ancora si muoveva come se fosse percorso da una scossa elettrica.

«Passagli sopra. Sulla testa, se ci riesci. Poi andiamocene». È tutto quello che riuscii a dire a Silvio. Andai a sedermi a metà autobus, dalla parte opposta alle portine, e mi misi a scrutare il buio. Il bus fece retromarcia per una decina di metri, inquadrò il bersaglio coi fari e partì: un quasi impercettibile sobbalzò ci fece capire che le ruote avevano appena spappolato la testa di quel poveraccio. Poi via, verso via Paoli e il porto.

(8 - continua) Continua a leggere

domenica 19 ottobre 2008

La mia brutta faccia per Radio Onda Stereo

Il terzo intervento in video-conferenza che ho preparato per la trasmissione "Linea diretta con la Regione", di Radio Onda Stereo. Legioni di ammiratrici festeggiano (come no)!
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venerdì 17 ottobre 2008

Sardegna boccaccesca

Dall'Unione sarda di venerdì 17 ottobre 2008.

Fotografie sul lato B: al matrimonio volano botte da orbi


L'aspirante Helmut Newton aveva la passione dei sederi. Imbucatosi a un matrimonio, lo hanno sorpreso a fotografare senza troppi pudori il "lato B" degli invitati, ignari modelli. Una passione incompresa: il tutto ha portato all'incauto fotografo, una sonora dose di calci e schiaffi, davanti a una platea di invitati esterrefatti.

Tutto succede qualche giorno fa in un agriturismo di Campanedda. Nella stessa struttura, in locali adiacenti, si festeggiano due avvenimenti importanti: da una parte si tiene il ricevimento di un matrimonio, dall'altra quello di una cresima. Tutto sembra filare liscio. Centinaia di persone si divertono: mangiano, ridono, ballano e cantano. Da una parte una giovane coppia di sposi ha appena fatto il passo più importante della vita, dall'altra un ragazzino ringrazia amici e parenti, dopo il sacramento.

Tutti gli invitati indossano l'abito buono, e sono in tanti, come si usa in queste situazioni, a scattare fotografie. Fotografie ai festeggiati, ma non solo. Qualcuno sembra immedesimarsi proprio nella parte, impugnando la macchina fotografica come un cannone, senza risparmiare nessun ospite. Tutto inizialmente sembra rientrare nella norma, poi qualcuno nota qualcuno di strano. Per esempio quel fotografo che, con la sua macchina digitale, riprende il posteriore di signori e signorine.

Uno degli invitati al matrimonio chiede spiegazioni allo sposo. «Lo conosci?» No, gli fa quello, e allora va dritto dritto da lui a chiedere spiegazioni. «Sono stato invitato con la mia famiglia alla cresima nella sala qua vicino», risponde l'artista dello scatto. Non è un invitato e scatta foto strane. Ce n'è abbastanza per fare un rapido controllo alla macchina fotografica. Le foto ai sederi degli invitati sono una sfilza, troppi per parlare di casualità.

Agli invitati preda dell'obbiettivo fotografico quelle foto non piacciono e finisce a calci e schiaffi. Per il fotografo manco la soddisfazione di portare a casa il frutto di tanto lavoro: le immagini vengono immediatamente cancellate. Per lui nessuna denuncia, a onorare un giorno di festa.
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Marco Travaglio ad Annozero, 16 ottobre 2008

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Firenze, contro i tagli lezioni in piazza col megafono


Studenti e professori, tutti insieme appassionatamente a difesa dell’università pubblica. Si fa lezione all’ombra del loggiato degli Innocenti del Brunelleschi, davanti all’arco di Piazza della Repubblica, sotto il severo sguardo di Dante a Santa Croce, in dieci altre piazze fiorentine più o meno centrali: la cultura va all’aria aperta per dire no alla riforma Gelmini e ricordare a tutti l’importanza dell’istruzione pubblica.

È una battaglia che, come nel 2004 contro il progetto Moratti, unisce sullo stesso fronte docenti, ricercatori e ragazzi. Anche allora si presero “in prestito” le piazze, ma questa volta la partecipazione è moltiplicata, lo schieramento più massiccio: dalle 11 alle 13 del mattino (con qualche coda pomeridiana) con megafoni, microfoni e altre attrezzature improvvisate, si fa lezione in pubblico, sotto gli occhi dei passanti incuriositi. Striscioni e cartelli sbeffeggiano la riforma del governo e spiegano le ragioni della protesta: “Lezioni per tutti contro un’università per pochi”, scrivono per esempio in piazza SS.Annunziata.

Davanti agli studenti si alternano ordinari, associati, ricercatori, semplici assegnisti: in alcuni spazi, i tempi sono rigidamente fissati da un orario, altrove si improvvisa. Mentre osserva la professoressa Francalanci parlare in piazza San Marco del vulcano Stromboli, Marco Benvenuti, presidente del corso di laurea in Scienze geologiche, spiega «il valore simbolico dell’iniziativa»: «Non perdiamo tempo, ma facciamo attività didattica alternativa insieme agli studenti – dice – Qui c’è l’università che vuole continuare a svolgere il suo ruolo di ricerca e formazione, che non vuole essere messa in ginocchio da questa legge».

A due passi dalla giostra di Piazza della Repubblica, c’è l’“aula” di Scienze delle formazione. Si ferma perplesso ad ascoltare il commercialista Maurizio: «L’università va rifondata, ora non è formativa – commenta – Queste iniziative servono a poco, anche i ragazzi si distraggono». Federica, 18enne liceale del Machiavelli (occupato), a pochi passi dalla Ruota degli Innocenti ascolta attenta l’associato di Storia dell’arte medievale Andrea de Marchi che parla di Andrea di Anghiari, maestro di Piero della Francesca. Con i ragazzi di altre scuole, partecipa alle “lezioni in piazza”: «Mi sembra una giusta forma alternativa di protesta – dice - È un bel modo di comunicare che ci stiamo muovendo».

La facoltà di Architettura si è schierata in piazza Ghiberti e a Santa Croce: in mezzo alle consuete frotte di turisti, il ricercatore Luciano Barbi assiste all’esposizione della convenzione europea sul paesaggio in sella alla sua bici e mastica amaro: «In modo miope e grossolano si decreta la fine dell’università di qualità pubblica, un importante patrimonio collettivo di tradizione secolare». Nello stesso momento, sotto la porta di piazza della Libertà, in 150 ascoltano lezioni di chimica e fisica, e in piazza Indipendenza assistono all’intervento introduttivo dell’ordinario di Storia contemporanea Simonetta Soldani: qui si va addirittura ai supplementari, altri ricercatori terranno banco fino al pomeriggio inoltrato. In piazza la campanella non suonerà.

(da "Il Firenze" del 17 ottobre 2008)
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giovedì 16 ottobre 2008

Le canzoni più brutte della nostra vita - 1

Mi piacciono i Rammstein. Apprezzo il loro miscuglio marziale di suoni elettronici e metal, il cantato in tedesco, i video deliranti e un certo greve umorismo tutto teutonico che si manifesta nei loro concerti. Le loro canzoni più belle hanno un tiro clamoroso: un bel pugno in bocca sonoro. Ma quando toppano - e negli ultimi anni sta accadendo spesso - sono capaci di tirare fuori ciofece tremende.

La vittima inaugurale di questa rubrica aperiodica è "Te quiero puta!", un goffissimo tentativo di unire la pesantezza del suono dei crucchi industrial con qualche eco etnica: in questo caso, il cantato in spagnolo e le tremende trombette mariachi. Vorrebbe essere un brano spiritoso, ma alla fine risulta solo pesante e patetico: una tortilla di wurstel uscita davvero male, che affonda un disco non troppo miracoloso come "Rosenrot", del 2005.

Porgete occhi e orecchie e ditemi se non ho ragione...

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martedì 14 ottobre 2008

Senza titolo (per ora) - 7


(Qui le puntate precedenti)

«Ferma», dissi a Silvio.
«L’ho visto anche io, è uno di loro», rispose. Ma sbuffò, rallentò e infine si fermo. «Muoviti».
Corsi verso il lunotto posteriore dell’autobus, Silvio si guardava intorno nervosamente. Se, per caso, da una delle strade che scendevano verso la piazza fosse sbucata una mandria di morti, la situazione si sarebbe complicata. Gettai uno sguardo dal vetro, scrutando nel buio. Tremavo leggermente, ma perché ero proprio sopra il motore che girava al minimo. Paura, io?
«Allora?», Silvio era nervoso.

Vedevo una sagoma che avanzava nell’oscurità ma non capivo cosa fosse. Aveva un passo abbastanza spedito, pensai che forse (ma molto forse) era uno shockato ancora vivo. Avrei dovuto controllare che fosse integro, prima di farlo salire. Niente morsi, niente stranezze.
«Fai luce qui dietro!», gridai.
«E come cazzo faccio? Scendo ad accenderti un falò? – rispose brusco – Cazzo, sbrigati».
«Schiaccia i freni, metti la retromarcia, accendi le luci posteriori, ho bisogno di luce!».

Fece come gli avevo detto. Le luci interne dell’autobus erano quasi spente, con la poca luce dei fanali posteriori riuscivo ad avere un pochino di visibilità esterna, giusto un paio di metri.
Ma non vedevo nessuno. Scrutai nell’oscurità per qualche secondo.
«Ma che diavolo stai facendo? Dobbiamo farci arrivare addosso tutti gli zombi della zona?», urlò Silvio da davanti.
«È sparito, che cavolo facciamo?».
«L’astronave è andata, buon samaritano dei miei stivali».

(Altro stacco stile Griffin. A bordo dell’astronave dei gorilla che vola verso il porto di Cagliari. Dall’alto la città è praticamente al buio. Il disco volante galleggia a meno di trenta metri dalla strada.

«Posso sparare a quello?».
«No, vostra altezza»
«E quel palazzo lo posso distruggere?».
«No, vostra altezza».
«E quella nave laggiù, la bombardiamo?».
«No, vostra altezza».
«Ma insomma, non posso fare nulla!»
«Esattamente, vostra altezza».
Il principe Kung si abbandonò sul sedile del disco volante, mugugnando nel suo linguaggio scimmiesco.
«Non ho ancora messo il muso fuori dalla nave!», protesto ancora.
«Non si sta perdendo nulla, vostra altezza – rispose il generale Grodd - Architettura per lo più trascurabile, indigeni curiosamente aggressivi e puzzolenti».
«Ma io sono il principe!».
«Lo sappiamo benissimo, vostra altezza. Voi siete il figlio primogenito del nostro glorioso re Kong, lo Sbucciatore di mondi».
«Voglio vedere il porto. Mi piacciono i porti», si lamentò Kung.
Grodd sospirò. Ticchettò un dito sulla spalla del pilota e gli disse: «Fai un giro largo del porto, soddisfiamo un desiderio del principe». Il pilota rispose col pollicione alzato e virò.
Kung battè le mani e i piedi eccitato. Poi, con un lampo malizioso negli occhi, allungò fulmineo una gamba e domandò: «Che succede se schiaccio questo?».
Sotto di loro una nave bianca e blu saltò in aria con un boato tremendo, centrata da un siluro laser.)

Mi parve di sentire davvero il botto in lontananza. Adesso scallano tutto, pensai. Sodoma e Gomorra in una pioggia di fuoco ed io che mi tramutavo in sale perché non avevo resistito alla sadica soddisfazione di vedere Cagliari distrutta.
«Pronto? C’è nessuno?», la voce di Silvio mi risvegliò.

(Continua - 7) Continua a leggere

Firenze, scene da un'occupazione

Striscioni, sculture beffarde, siti internet: la protesta degli studenti fiorentini contro la riforma della scuola voluta dal ministro Maria Stella Gelmini è una fucina di fantasia. Il fronte si sta compattando. Dopo le prime iniziative di venerdì, ieri gli ultimi istituti che mancavano all’appello hanno varcato il Rubicone della mobilitazione: dopo lunghe assemblee, i classici Galileo e Michelangelo e la sede centrale del Castelnuovo sono passati sotto il controllo degli studenti.

In via La Marmora, al Castelnuovo, quando manca un quarto all’una il centinaio di studenti che riempie la strada ottiene di entrare dalla porticina laterale della palestra. «Uno per volta, lasciate il nome al tavolo», spiega il rappresentante d’istituto Pietro col megafono. Il “palinsesto” delle attività, se così si può chiamare, è appeso accanto al portone. Durante la settimana si parlerà di “Moratti, Fioroni, Gelmini, riforme a confronto” e “Scuola nei secoli, mezzi della protesta studentesca”: titoli da cineforum fantozziano. Ma «non siamo qui per scialare – dice Nicola, 17enne borchiato – Noi ci crediamo, è una riforma che distrugge e svaluta la scuola pubblica».

Due prof perplesse osservano la situazione in disparte. «È presto per parlare – dicono– Le risposte ci sono, ma non in queste forme». La macchina dell’occupazione del liceo Alberti funziona già a pieno regime. La rappresentante d’istituto Margherita ci accompagna per un rapido giro. Fervono i preparativi per l’assemblea pomeridiana dove discutere lo scarso coinvolgimento di una parte degli studenti (su 800 iscritti, solo una cinquantina sono parte attiva nell’autogestione della scuola) e la partenza delle «lezioni alternative, che verranno tenute da professori, universitari e genitori solidali».

Si lavora ovunque: nel comitato stampa si prepara un giornalino delle scuole fiorentine occupate. Nel cortile si pensa all’installazione per il “Festival della creatività”: «Rilancerà il nostro messaggio sulla scuola», dice Giacomo. Non manca la goliardata: un paio di studenti lavorano su una scultura in creta, un enorme fallo con le fattezze del premier Berlusconi. «Ce l’hanno già chiesto dalle altre scuole», ridacchiano. C’è anche una mensa comune: sul tavolo decine di panini con la mortadella già pronti.

In via Martelli, nel primissimo pomeriggio è cosa fatta l’occupazione del Galileo: sono tutti in cortile, un Ipod collegato a un’amplificatore diffonde musica reggae a palla. Ci si sta ancora organizzando, nascono gli striscioni, si attende l’interazione con le altre scuole. Laura e Chiara, del “comitato fotografia”, documentano tutto: «Vogliamo creare un grosso impatto mediatico, tutti devono sapere le conseguenze di questa riforma».
Al Michelangelo invece è tutto per aria: «Dobbiamo ancora elaborare una linea comune, sappiamo poco pure noi», ci dicono all’ingresso. I dirimpettai della succursale del Castelnuovo, molti con un’artigianale maglietta “staff”, lavorano invece alla piattaforma internet collettiva: www.firenzeperlascuola.tk. «Pensavamo di occupare fino a giovedì – dice il 17enne Federico – Ma più giorni facciamo, meglio è».

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Il Sardegna e l'italiano

Mio cuggino mio cuggino, mio cuggino è rispettato, amico di tutti. Mio cuggino ha fatto questo e quello, mio cuggino mi protegge quando vengono a picchiarmi perché chiamo mio cuggino. Anzi: io chiamo a mio cuggino. Continua a leggere