Visualizzazione post con etichetta diritti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta diritti. Mostra tutti i post

martedì 26 agosto 2008

Firenze: non vedenti in trappola, le mille insidie della città

Altro che barriere architettoniche: i peggiori nemici dei non vedenti fiorentini sono gli stessi concittadini e la loro mancanza di senso civico. Perché le quotidiane dimostrazioni di inciviltà che ormai passano inosservate a un normodotato diventano attentati all’autonomia e all’incolumità fisica di una persona priva della vista. Auto e furgoni parcheggiati in malo modo, motorini e biciclette che colonizzano i marciapiedi, ostacoli vari – come persiane e sportelli - impossibili da percepire per chi non può contare sui propri occhi: la cafoneria a Firenze ha ormai piantato radici, vanificando anche quanto fatto dalle amministrazioni cittadine.

Basta un giro mattutino nel centro storico: ci accompagna Niccolò Zeppi, consigliere provinciale dell’Unione italiana ciechi. 53 anni, fisioterapista ed esperto di barriere architettoniche, Zeppi è un atleta con 15 maratone all’attivo, New York compresa: nessuno meglio di lui conosce le trappole della città. La ricognizione parte dalla stazione di Santa Maria Novella: «Il problema più grande sarebbe la gente - scherza Zeppi – In realtà mancano le segnalazioni a terra e i percorsi sicuri». Ma è un problema frequente, anche il sottopassaggio della stazione può diventare un labirinto per una persona che si muove mediante le sue mappe mentali.

In via della Scala, inizia il percorso di guerra: autobus turistici e furgoni sono occupanti abituali del marciapiede. Nello stretto passaggio che si crea, lo specchietto retrovisore regala botte e testate. Ci sono anche le biciclette lasciate dovunque: selve inestricabili attaccate alle ringhiere, ai pali della segnaletica, ai semafori. Hanno due armi principali: il manubrio, che arpiona l’ignaro passante, e le ruote, dove si infila il bastone col probabile risultato di un capitombolo. Soprattutto quelle abbandonate, ridotte a scheletri arrugginiti, sembrano piazzate ad arte nei passaggi più stretti: tra piazza della Signoria e piazza Santa Croce gli esempi si sprecano.

«Dove vivo io a Rifredi, la polizia municipale portava spesso via le bici– dice Niccolò Zeppi – Da qualche tempo capita più di rado». Ma anche motorini e scooter lasciati nei loro posteggi possono invadere lo “spazio aereo” del marciapiede e diventare pericolosi con i bauletti posteriori troppo sporgenti. Ci sono poi le minacce che non ti aspetti.

A pochi passi da Palazzo Vecchio, sulla porta di un ristorante, un enorme cuoco di legno mostra il menu ai passanti. Il suo vassoio di latta, in un punto dove il marciapiede è quasi inesistente è pronto a fare danni. I cantieri infiniti sparsi per tutta la città contribuiscono coi segnali provvisori, sorretti da una base che farebbe cadere chiunque: si trovano ad altezza d’uomo sui marciapiedi o nelle immediate adiacenze. «Da tempo abbiamo chiesto cartelli di plexiglas con bordo in gomma, senza grossi risultati», dice Zeppi.

Ultimo ostacolo: i mendicanti. In via Nazionale il nostro accompagnatore ne aggira uno con difficoltà. Dieci metri più in là un terzetto di vigili urbani non si accorge di nulla. La situazione delle barriere architettonica in città «non è drammatica», commenta il consigliere Uic a conclusione del giro. «I semafori con segnalazione acustica ci sono, ci vorrebbero più segnalazioni a terra o avvisi a bassa frequenza», dice. «Un po’ più di attenzione da parte della gente ci faciliterebbe moltissimo – conclude - Il problema maggiore, anche in una giornata poco trafficata di fine luglio, è il menefreghismo della gente».

(da "Il Firenze" del 26 agosto 2008)

Continua a leggere

lunedì 16 giugno 2008

Silvio, chiudiamo i giornali e finiamola qui

Il lucido intervento di Marco Travaglio sul "pasticcio intercettazioni" ordito dal funambolico governo Berlusconi. Visto che l'informazione è il mio lavoro - ma ho anche una pessima opinione della categoria dei giornalisti - mi chiedo quanti colleghi aderiranno alla protesta innescata da Travaglio.

L’altro giorno, fingendo di avanzare un’«ipotesi di dottrina», Giovanni Sartori ha messo in guardia sulla Stampa dai «dittatori democratici» e ha spiegato: «Con Berlusconi il nostro resta un assetto costituzionale in ordine, la Carta della Prima Repubblica non è stata abolita. Perché non c’è più bisogno di rifarla: la si può svuotare dall’interno».
«Si impacchetta la Corte costituzionale, si paralizza la magistratura. si può lasciare tutto intatto, tutto il meccanismo di pesi e contrappesi. E di fatto impossessarsene, occuparne ogni spazio. Alla fine rimane un potere 'transitivo' che traversa tutto il sistema politico e comanda da solo».

Non poteva ancora sapere quel che sarebbe accaduto l'indomani: il governo non solo paralizza la magistratura, ma imbavaglia anche l'informazione abolendo quella giudiziaria. E, per chi non avesse ancora capito che si sta instaurando un regime, sguinzaglia pure l'esercito per le strade. Nei giorni scorsi abbiamo illustrato i danni che il ddl Berlusconi-Ghedini-Alfano sulle intercettazioni provocherà sulle indagini e i processi. Ora è il caso di occuparci di noi giornalisti e di voi cittadini, cioè dell'informazione. Che ne esce a pezzi, fino a scomparire, per quanto riguarda le inchieste della magistratura.
Il tutto nel silenzio spensierato e irresponsabile delle vestali del liberalismo e del garantismo un tanto al chilo. Che, anzi, non di rado plaudono alle nuove norme liberticide.

Non si potrà più raccontare nulla, ma proprio nulla, fino all'inizio dei processi. Cioè per anni e anni. Nemmeno le notizie «non più coperte da segreto», perché anche su quelle cala un tombale «divieto di pubblicazione» che riguarda non soltanto gli atti e le intercettazioni, ma anche il loro «contenuto». Non si potrà più riportarli né testualmente né «per riassunto».

Nemmeno se non sono più segreti perché notificati agli indagati e ai loro avvocati. Niente di niente. L'inchiesta sulla premiata macelleria Santa Rita, con la nuova legge, non si sarebbe mai potuta fare. Ma, anche se per assurdo si fosse fatta lo stesso, i giornali avrebbero dovuto limitarsi a comunicare che erano stati arrestati dei manager e dei medici: senza poter spiegare il perché, con quali accuse, con quali prove.

Anche l'Italia, come i regimi totalitari sudamericani, conoscerà il fenomeno dei desaparecidos: la gente finirà in galera, ma non si saprà il perché. Così, se le accuse sono vere, le vittime non ne sapranno nulla (i famigliari dei pazienti uccisi nella clinica milanese, che stanno preparando una class action contro i medici assassini, sarebbero ignari di tutto e lo resterebbero fino all'apertura del processo, campa cavallo). Se le accuse invece sono false (come nel caso di Rignano Flaminio, smontato dalla libera stampa), l'opinione pubblica non potrà più sapere che qualcuno è stato ingiustamente arrestato, né come si difende: insomma verrà meno il controllo democratico dei cittadini sulla Giustizia amministrata in nome del popolo italiano.

Chi scrive qualcosa è punito con l'arresto da 1 a 3 anni e con l'ammenda fino a 1.032 euro per ogni articolo pubblicato. Le due pene - detentiva e pecuniaria - non sono alternative, ma congiunte. Il che significa che il carcere è sempre previsto e, anche in un paese dov'è difficilissimo finire dentro (condizionale fino a 2 anni, pene alternative fino a 3), il giornalista ha ottime probabilità di finirci: alla seconda o alla terza condanna per violazione del divieto di pubblicazione (non meno di 9 mesi per volta), si superano i 2 anni e si perde la condizionale; alla quarta o alla quinta si perde anche l'accesso ai servizi sociali e non resta che la cella. Checchè ne dica l'ignorantissimo ministro ad personam Angelino Alfano.

E non basta, perché i giornalisti rischiano grosso anche sul fronte disciplinare: appena uno viene indagato per aver informato troppo i suoi lettori, la Procura deve avvertire l'Ordine dei giornalisti affinchè lo sospenda per 3 mesi dalla professione. Su due piedi, durante l'indagine, prim'ancora che venga eventualmente condannato. A ogni articolo che scrivi, smetti di lavorare per tre mesi. Se scrivi quattro articoli, non lavori per un anno, e così via.Così ti passa la voglia d'informare. Anche perché, oltre a pagare la multa, finire dentro e smettere di lavorare, rischi pure di essere licenziato.


D'ora in poi le aziende editoriali dovranno premunirsi contro eventuali pubblicazioni di materiale vietato, con appositi modelli organizzativi, perché il «nuovo» reato vien fatto rientrare nella legge 231 sulla responsabilità giuridica delle società. Significa che l'editore, per non vedere condannata anche la sua impresa, deve dimostrare di aver adottato tutte le precauzioni contro le violazioni della nuova legge. Come? Licenziando i cronisti che pubblicano troppo e i direttori che glielo consentono. Così usciranno solo le notizie che interessano agli editori:quelle che danneggiano i loro concorrenti o i loro nemici (nel qual caso l'editore si sobbarca volentieri la multa salatissima prevista dalla nuova legge, da 50 mila a 400 mila euro per ogni articolo, e accetta di buon grado il rischio di veder finire in tribunale la sua società).

La libertà d'informazione dipenderà dalle guerre per bande politico-affaristiche tra grandi gruppi. E tutte le notizie non segrete non pubblicate? Andranno ad alimentare un sottobosco di ricatti incrociati e di estorsioni legalizzate: o paghi bene, o ti sputtano. Ultima chicca: il sacrosanto diritto alla rettifica di chi si sente danneggiato o diffamato, già previsto dalla legge attuale, viene modificato nel senso che la rettifica dovrà uscire senza la replica del giornalista. Se Tizio, dalla cella di San Vittore, scrive al giornale che non è vero che è stato arrestato, il giornalista non può nemmeno rispondere che invece è vero, infatti scrive da San Vittore. A notizia vera si potrà opporre notizia falsa, senza che il lettore possa più distinguere l'una dall'altra. Tutto ciò, s'intende, se i giornalisti si lasceranno imbavagliare senza batter ciglio.

Personalmente, annuncio fin d'ora che continuerò a informare i lettori senza tacere nulla di quel che so. Continuerò a pubblicare, anche testualmente, per riassunto, nel contenuto o come mi gira, atti d'indagine e intercettazioni che riuscirò a procurarmi, come ritengo giusto e doveroso al servizio dei cittadini. Farò disobbedienza civile a questa legge illiberale e liberticida. A costo di finire in galera, di pagare multe, di essere licenziato. Al primo processo che subirò, chiederò al giudice di eccepire dinanzi alla Consulta e alla Corte europea la illegittimità della nuova legge rispetto all'articolo 21 della Costituzione e all'articolo 10 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo e le libertà fondamentali («Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione.

Tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche», con possibili restrizioni solo in caso di notizie «riservate» o dannose per la sicurezza e la reputazione). Mi auguro che altri colleghi si autodenuncino preventivamente insieme a me e che la Federazione della Stampa, l'Unione Cronisti, l'associazione Articolo21, oltre ai lettori, ci sostengano in questa battaglia di libertà. Disobbedienti per informare. Arrestateci tutti.

(da "L'Unità" di oggi)
Continua a leggere