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sabato 7 marzo 2009

Il pisello del dottor Manhattan


Reduce dalla visione di "Watchmen", attesissima (almeno da me) trasposizione cinematografica del romanzo grafico di Alan Moore e Dave Gibbons. Non voglio fare una recensione, perchè è quanto di peggio possa fare un blogger. Ma visto il legame affettivo con l'opera originale e con gli altri lavori di Alan Moore (V for Vendetta su tutti), sento l'esigenza di scrivere qualche impressione.

Le prime parole che mi vengono in mente, dopo un lungo - e forse sproporzionato, visto che si parla di un film - ragionamento sono "pastrocchio postmoderno" e "esercizio di stile mimetico". Partiamo dal secondo punto, che ho voluto sintetizzare nel titolo di questo post.

Il film riprende in maniera quasi scimmiesca la cura maniacale dei dettagli della storia originale. Perchè scimmiesca? Perchè nell'opera di Moore ciascun particolare, ogni minima cosa, ha un senso nell'economia della narrazione e nel dipanarsi della trama. Watchmen libro è un'opera complicatissima, anche faticosa da leggere al primo approccio per la ricchezza di sottotesti, la complessità linguistica, la profondità di dialoghi e didascalie. Tutto al servizio, in estrema sintesi, di una chiave di lettura filosofica e di un ragionamento sull'assurdità narrativa del concetto di supereroe . Ma tutto questo insieme di cose é parte di un meccanismo narrativo ad orologeria: nel finale si capisce il posto e il senso di ogni minuscolo mattoncino disseminato nelle 400 pagine dell'opera.

Watchmen film prende questa ricchezza e la fa diventare semplice e lussureggiante sfoggio esteriore: una perfetta copia della Gioconda non potrà mai essere la Gioconda. I dettagli ci sono, gran parte degli avvenimenti della trama principale c'è, ci sono i personaggi e molte delle loro frasi: ma cosa manca? Manca un'anima, una visione "poetica" d'insieme che dia un significato a storia e personaggi: perchè Manhattan se ne va in giro col pipino di fuori? Pagina dopo pagina, nel libro diventa chiaro cosa sia diventato l'unico vero ultraumano della vicenda, nel film no e la sua nudità è quasi gratuita. Ma sono tante le cose che si giustificano solo come elementi messi là per dare al film una quasi totale aderenza all'opera originale senza che arricchiscano la narrazione, anzi appesantendola: una bellissima facciata che non corrisponde all'edificio retrostante.

Ecco dunque il pastrocchio postmoderno, la pietanza troppo pesante per essere digerita, il gioco del citazionismo e della costruzione della bella immagine che non comunica nulla, il film quasi incomprensibile per chi non abbia letto l'opera originale, tanto leccato nel suo look luccicante quanto povero di una rielaborazione originale dei contenuti. Fatte le debite e reverenziali proporzioni, è il discorso che faremmo se qualcuno - come sembra - si azzardasse a fare una versione filmata della "Divina Commedia" di Dante: prendere Dante e Virgilio e metterli a zonzo per i regni ultraterreni riuscirebbe a restituire il senso ideale, religioso e filosofico dell'opera dantesca? O sarebbe una carrellata di personaggi, diavoli, effetti speciali e fuffa assortita? Questo è quello che è successo con "Watchmen": il lusso della confezione, l'attenzione anche stupida per il dettaglio, l'imitazione pedissequa per un Bignami ottuso di un libro che, idealmente (e insieme a tante altre cose), ha messo fine alla retorica dell'eroe. Ma difficilmente, a chi ha visto questo pasticcio verrà voglia di mettersi a leggere il vero Watchmen.

PS dell'8 marzo (ci sto ancora rimuginando sopra). Ho riletto quello che ho scritto, sono stato molto (troppo) duro.. Bisogna riconoscere che il regista si è impegnato in maniera maniacale per riprodurre l'atmosfera, i luoghi, le scene dell'opera originale, con risultati estetici davvero straordinari.

(scusate la lunghezza)

Bonus: qui i titoli di testa del film, forse la parte migliore.



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mercoledì 10 dicembre 2008

Arriva il criceto Gigi!

E così è iniziata la corsa del criceto Gigi, sul suo blog. Io scribacchio, il mitico Bruno Olivieri disegna e chissà cosa salterà fuori...
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sabato 28 giugno 2008

martedì 17 giugno 2008

DMZ: due chiacchiere con Riccardo Burchielli

Un toscano alla corte di Superman e Batman. Riccardo Burchielli, da Peccioli in provincia di Pisa ma fiorentino d’adozione, sta coronando il “sogno americano” di tanti disegnatori di fumetti: lavora per la Dc Comics, una delle più grandi case editrici del mondo, quella che pubblica le avventure dei supereroi storici.

Dal 2005, infatti, con lo sceneggiatore americano Brian Wood Burchielli sta realizzando la serie intitolata “Dmz” per l’etichetta Vertigo, il marchio della Dc «che pubblica le storie con temi più crudi e maturi», come spiega il disegnatore. Negli albi di “Dmz”, sigla inglese che sta per “zona demilitarizzata”, non ci sono eroi in calzamaglia e minacce cosmiche: «È una storia con solide radici nell’attualità - dice l’autore - Ci siamo chiesti che succederebbe se la stessa guerra che c’è oggi a Baghdad o in altre città del medio Oriente scoppiasse in una delle nostre città».

Fantapolitica ma non troppo, insomma: nel corso di una seconda guerra civile americana un giovane giornalista praticante si ritrova bloccato a Manhattan, diventata la terra di nessuno (la Dmz del titolo) che divide i due eserciti in guerra. «Oltre lo sguardo un po’ satirico, Dmz è anche un racconto d’avventura», osserva Burchielli. La serie, pubblicata con successo in Italia da Planeta De Agostini, oltre oceano è stata recensita dalle riviste di letteratura e dai principali quotidiani: «Negli Usa hanno maggiore considerazione per il fumetto come forma d’intrattenimento e le raccolte in volume vendono davvero tanto». Burchielli, classe 1975, vive a Firenze dal 2001: «Sono innamorato di questa città», dice. Negli ultimi mesi però ha vissuto a New York e ci tornerà ancora nel 2009: «Con Internet è tutto più rapido, ma parlare di persona elimina la confusione che a volte si crea comunicando a distanza».

Da Firenze alla Grande Mela, la carriera fumettistica del disegnatore è stata fulminea: «Lavoravo come art director in un’agenzia di pubblicità – ricorda – Iniziai a disegnare nel 2003 ed esordii con tre storie per John Doe, il personaggio dell’Eura editoriale». Ma non era semplice: «Ero stanco, mantenere due lavori era faticoso: ho lasciato l’agenzia per vedere come andava col fumetto». Un piccolo colpo di fortuna spinse le cose nella direzione giusta: «Nel 2003, quando ancora non avevo finito la prima storia per John Doe, Will Dennis, il redattore più importante della Vertigo, vide le mie tavole alla Comic convention di Napoli – racconta – Ci siamo sentiti spesso e nel 2005 abbiamo iniziato a lavorare su Dmz».

In America «in questo momento sono molto presi dallo stile europeo e sudamericano»: «Molti italiani lavorano per la Vertigo: abbiamo una maniera diversa di disegnare che predilige l’atmosfera del racconto allo stupore della tavola da supereroi che riempie l’occhio e fa spettacolo». Pur facendo dell’immaginazione il suo pane quotidiano, l’autore di Peccioli non dimentica da dove viene: «C’è un po’ di Toscana in tutto quello che faccio – dice - Nei miei disegni c’è soprattutto qualcosa della mia vita, dettagli che mi diverto a mettere qua e là per far ridere i miei amici».

(Da "Il Firenze" del 2 giugno 2008). Continua a leggere