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martedì 11 novembre 2008

Omaggio al passato

Il fine settimana trascorso a furoreggiare su Guitar Hero mi ha riportato alla mente quando, da bambini, si ascoltavano in casa della nonna le prime canzoni insieme ai cuginetti. Spesso, soprattutto per i brani più movimentati, si finiva per mimare la musica. Ho un ricordo chiarissimo della mia prima air guitar: non so se sotto ci fossero gli Europe o gli Whitesnake.
Questi tre cialtroni non si avvicinano minimamente alla nostra gioiosa innocenze, ma fanno ridere. E noi non avevamo quelle tremende parrucche.

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lunedì 27 ottobre 2008

Le canzoni più brutte della nostra vita - 2


Chi mi conosce da tempo è al corrente dell'incondizionata adorazione per i Kiss che ho sviluppato fin dalla prima adolescenza. Però sono salito a bordo nel loro periodo peggiore: a casa ho ancora gli lp d'epoca di Crazy Nights, Asylum, Animalize. Roba terribilmente anni '80, in cui un gruppo incalzato da una nidiata di musicisti più giovani e più affamati tentava di restare a galla: indurendo il sound (come in Animalize, forse il meno peggio del lotto), buttandosi sul glam alla Motley Crue in Asylum (dove si salvano due canzoni, ad essere buoni) e finendo per annacquare tutto con una bella dose di pop, sintetizzatori, video sbrillucicanti e capelli alti tre metri con Crazy Nights.

Per suggellare questo momento molto pop e molto ridicolo i nostri tirarono fuori nel 1988 un'antologia intitolata "Smashes, trashes and hits": una schifezza già dalla copertina. Ci sarebbe, prima di tutto, da dare la caccia a chi remixò le vecchie canzoni degli anni Settanta per renderle più leggere. Ma si dovrebbe anche perseguire Paul Stanley per i due tremendi inediti con cui "arricchì" quella raccolta. "Let's put the X in sex" è tra le più ignobili canzonette mai sentite in ambito rock e appartiene sicuramente alle "trashes" del titolo: brani tenuti nel cassetto e che là sarebbero dovuti rimanere, chiusi a chiave per l'eternità.

Invece i Kiss decisero di regalarci quest'emozione. Che non si limitava alla musica, forse scritta in un momento di ubriachezza molesta, ma anche a un testo da concorso di poesia oscena (nel senso della qualità). Bastino la prima strofa col primo chorus: I got a letter just the other day / she sent a picture, but she didn't sign her name / she wore high heels and a little black lace / i knew her body, but i couldn't see her face / she didn't leave a number, not an address or a clue / but something in that photograph reminded me of you.
baby, let's put the x in sex / love's like a muscle and you make me wanna flex / baby, let's put the x in sex / keep it undercover, baby let me be your private eye".

Se tanta grazia non fosse bastata, ecco il secondo "tesoro riscoperto": "(You make me) rock hard", una canzone dove l'unica cosa hard stava nel titolo. Quando, all'epoca ebbi una copia di questa cassettina dal mitico amico Gabriele, partivo con l'ascolto direttamente dal terzo brano (la fantastica "Love Gun") e saltavo a piè pari le due schifezze inedite.

Purtroppo i nostri, nell'evidente tentativo di ramazzare qualche spicciolo in un momento di crisi (finirono a fare gli special guest nei festival europei prima degli Iron Maiden), misero insieme anche i video per questi aborti conditi di sinth di terz'ordine. Chiamarono qualche pollastrella, si dimenticarono di assumere una costumista come si deve (gli stretch di Stanley: OMFG!) e, con l'aria evidentemente annoiata, si agitarono un pochino, ma stando attenti a non rovinare la messa in piega dei capelli. Stanley neppure si portò la chitarra da casa e Simmons passò il tempo a fare finta di suonare mentre si guardava intorno con una faccia da "ma quando finiamo ci sarà il catering?". Del secondo video sono da evidenziare la prestazione da odalisca di Stanley, che sculetta come neanche la Valeria Marini dei tempi d'oro, e la capigliatura del bassista sputafuoco: una comoda parrucca in stile Luigi XIV, a prima vista.

Il risultato è questo obbrobrio che è giustamente caduto nell'oblio cinque minuti dopo la sua diffusione. A tutt'oggi non so se mi facciano più schifo le canzoni o i video.



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domenica 26 ottobre 2008

Perigeo 30 anni dopo


Ieri, dalla generale tristezza del pompatissimo Festival della Creatività di Firenze, sono tornato a casa con qualcosa da ricordare. Ho infatti assistito al concerto di reunion del Perigeo, un gruppo degli anni '70 che conoscevo solo di nome. Di solito considerati un nome di secondo piano della ricchissima scena musicale italiana dell'epoca, i toscani proponevano una musica molto sofisticata, sicuramente poco appetibile al gusto generale. Da qualcuno infilati (un po' a forza) nel filone del prog, Perigeo era più orientato al jazz rock e a qualcosa che somigliava alla fusion.

Ne ho avuto dimostrazione ieri. I quattro del Perigeo (più un ragazzo che ha preso, con ottimi risultati, il posto del tastierista originale) sono signori musicisti: il tempo è passato ma la loro musica non è invecchiata. Davanti a un pubblico particolarmente affettuoso per il rientro in scena dal lontano 1976, Perigeo ha suonato un po' di vecchi brani "perchè è meglio così", ha detto il contrabbassista Giovanni Tommaso. E mi ha fatto venire voglia di recuperare i loro dischi migliori.

Da You Tube un assaggio d'annata:


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martedì 21 ottobre 2008

Emozioni in musica - 1

Pochi giorni fa ho inaugurato una rubrica dedicata alle "canzoni più brutte della nostra vita". Non si può essere però solo negativi e distruttivi. A volte è bello anche condividere le cose belle che capita di scoprire.
Come già per i Rammstein e la loro orrida corrida, anche stavolta il merito è da attribuire al mio lettore mp3, che ha scelto il momento giusto per farmi sentire "Truenorth" dei No-Man: sul treno, mentre la campagna tra Arezzo e Perugia catturava il mio sguardo e faceva da azzeccatissima cornice a un viaggio musicale.

I No-man sono (ovviamente) sconosciuti ai più. Da poco è uscito, a cinque anni di distanza dal precedente, il loro sesto album "Schoolyard Ghosts". Tim Bowness e Steven Wilson (il mastermind dei Porcupine Tree e dei meravigliosi Blackfield) fanno musica difficilissima da definire, molto evocativa e impregnata di atmosfere oniriche. Forse non è roba per chi apprezza la canzonetta da classifica, ma chiunque cerchi emozioni nella musica apprezzerà il lavoro di questi due geni. Su Youtube ho pescato il video di "Truenorth", editata a misura di radio. Il brano originale dura 12 minuti e mezzo, che scorrono via tra mille suggestioni. Anche così ritagliata fa la sua porca figura.

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giovedì 16 ottobre 2008

Le canzoni più brutte della nostra vita - 1

Mi piacciono i Rammstein. Apprezzo il loro miscuglio marziale di suoni elettronici e metal, il cantato in tedesco, i video deliranti e un certo greve umorismo tutto teutonico che si manifesta nei loro concerti. Le loro canzoni più belle hanno un tiro clamoroso: un bel pugno in bocca sonoro. Ma quando toppano - e negli ultimi anni sta accadendo spesso - sono capaci di tirare fuori ciofece tremende.

La vittima inaugurale di questa rubrica aperiodica è "Te quiero puta!", un goffissimo tentativo di unire la pesantezza del suono dei crucchi industrial con qualche eco etnica: in questo caso, il cantato in spagnolo e le tremende trombette mariachi. Vorrebbe essere un brano spiritoso, ma alla fine risulta solo pesante e patetico: una tortilla di wurstel uscita davvero male, che affonda un disco non troppo miracoloso come "Rosenrot", del 2005.

Porgete occhi e orecchie e ditemi se non ho ragione...

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sabato 4 ottobre 2008

The song remains the same


Ieri su "Repubblica", Gino Castaldo presentava il rientro in scena degli immarcescibili AC/DC parlando di "rock che non vuole invecchiare" e di "eterno ritorno" dei gruppi storici. "Sembra che la scena sia rimasta ferma a molti anni fa", scrive Castaldo. "I giovani ci sono, ma tranne poche eccezioni, non lasciano il segno, non si radicano nell'immaginario della musica", mentre i vecchietti come gli AC/DC proseguono con "inaspettata efficacia". "L'importante per noi è sembrare gente che suona davvero, sembrare reali", spiega il folletto Angus Young.

Per la strana ironia che a volte fa capolino nei giornali, proprio dirimpetto alla pagina dedicata ai nonnetti australiani c'era una intera pagina pubblicitaria del nuovo album degli Oasis: un gruppo tutto sommato,  abbastanza giovane (il primo album è del 1994). Incredibili saccheggiatori del songbook dei Beatles, più famosi per il gossip che per le canzoni, gli Oasis sono esattamente l'esempio di gruppo recente che non ha mai lasciato un segno memorabile nella musica.

Sicuramente l'abito non fa il monaco. Ma basta osservare le due foto che ieri si affrontavano sulle pagine di "Repubblica" per capire qual è il solco che divide i musicisti di ieri da quelli di oggi. Di chi vi fidereste di più, voi? Delle facce da morti di sonno dei fratelli Gallagher o degli arzilli e simpatici fratelli Young? Io non ho nessun dubbio.
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Il caro vecchio psicopatico Zio Alice


A 60 anni suonati lo zio Alice ancora riesce ad essere disturbante. Il nuovo album "Along came a spider" è un po' discontinuo, ma le tre canzoni scelte per questo minifilm sono tra le migliori del lotto....
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lunedì 22 settembre 2008

Filipino rock


Qualche giorno fa ascoltavo i Journey e pensavo ad Arnel Pineda.
Eh? Journey? Pineda? E chi cacchio sono?
Andiamo con ordine, incolte moltitudini. Intanto, per darvi un indizio, pensate a come vi sentireste se un giorno vi trovaste a cantare col vostro gruppo preferito, davanti a migliaia di persone. Sarebbe tutto bellissimo?

I Journey sono un autentico mito dell'arena rock americano, esplosi all'inizio degli anni 80. Ottimi musicisti (un paio venivano dal gruppo di Carlos Santana), fecero il botto con una serie di album dal grande sapore radiofonico: melodici, accattivanti, con qualche schitarrata e le classiche ballatone da cucco.
L'ingrediente segreto dei Journey - forse uno dei primi gruppi musicali a diventare protagonisti di un videogame: una specie di orrido flipper anni 80 per l'Atari 2600 - era però la voce di Steve Perry, tanto piccoletto di statura quanto gigantesco dietro il microfono. Sicuramente lo avete visto: era una delle voci più suggestive, insieme a Springsteen, in quel terribile guazzabuglio di "We are the world" (il nanetto con l'orribile capigliatura che canta dopo Kenny Loggins, all'incirca al minuto 2.30).

Come per tutti i gruppi-simbolo di una stagione musicale, anche i Journey intrapresero presto il viale del tramonto: poco dopo la metà degli anni Ottanta andarono ciascuno per conto proprio. Neal Schon e Jonathan Cain (rispettivamente chitarra e tastiere) vissero un'altro effimero momento di gloria con i Bad English del mitico John Waite. Nel 1995 - al finire del riflusso grunge e con le prime reunion all'orizzonte - tornarono alla carica, ma fu un fuoco di paglia: il nuovo disco andò benino, ma Perry accusò seri problemi di salute e non partì in tour col gruppo.

Da quel momento Steve Perry praticamente è sparito dalla scena musicale. Recentemente si è detto che vorrebbe riprendere una carriera solista, ma poche settimane fa l'ex manager dei Journey commentò la notizia dicendo qualcosa del tipo: se non canti per dieci anni, la voce l'hai persa. Ma questa è un'altra storia.
I Journey, dopo l'abbandono del loro marchio di fabbrica, intrapresero la china discendente: negli ultimi dieci anni, con diversi cantanti, sfornarono album poco convincenti e lontani dalla magia dei giorni d'oro.

E qui arriviamo al nostro Arnel. Filippino, nato nel 1967, ha alle spalle una intensissima carriera musicale tra Filippine e Hong Kong: dischi solisti, una raffica di gruppi e dischi a partire dal 1982. Nel 2007 su You Tube finirono diversi video di Arnel che cantava cover dei Journey, degli Aerosmith. Pochi mesi dopo Neal Schon, che si ritrovava senza cantante dopo l'abbandono di Jeff Scott Soto, vide questi video e contattò l'amico di Pineda che aveva caricato i filmati.

Scrisse ad Arnel per proporgli un'audizione ma il nostro, come succede di solito, pensò che la mail fosse uno scherzo. L'amico faticò molto per convincerlo a rispondere: neanche dieci minuti dopo, Schon telefonò a Pineda. Nel febbraio 2008, la favola iniziò davvero ed Arnel si ritrovò sul palco coi Journey in Cile, davanti a 20mila persone. "Per un tipo come me è surreale - racconta a Rolling Stone Usa - Una specie di miracolo".

La sua voce, incredibilmente simile a quella di Steve Perry, rivitalizzò il gruppo. ("Vederlo cantare è qualcosa di soprannaturale: siamo finiti in una macchina del tempo", racconta Cain).Il nuovo disco - "Revelation", un doppio che, con mossa abilmente astuta, mette insieme un cd coi classici del gruppo ricantati, un disco di canzoni nuove e viene venduto a prezzo speciale nella colossale catena di market Wal Mart - ritrae il gruppo in un momento di grazia. Esordisce al numero 5 della classifica americana a giugno e ha finora venduto 441mila copie. I Journey partono per una lunga tournee americana nelle arene. Un'autentica resurrezione: una media di 13mila spettatori a concerto, sesto tour più redditizio dell'estate 2008.

Ma tutte le favole hanno un risvolto amaro. Arnel soffre subito con il meccanismo implacabile dello show business americano. Così racconta a Rolling Stone: "È molto triste - dice - Ci sono giorni in cui crollo e piango. Questo è un lavoro che sto facendo per la mia famiglia: è l'unica consolazione che trovo". La vita on the road è "tutta bus, palco e microfono": "Non ho mai modo di fare un giro e camminare - racconta Pineda - Mi svegliano per il soundcheck, poi aspetto fino alle nove per lo show: è un bellissimo lavoro, ma anche una maledizione".

Riempire le scarpe di qualcun altro non è mai un lavoro facile. Si pensi a Tim Owens, chiamato a sostituire Rob Halford nei Judas Priest e poi sacrificato per il rientro del figliol prodigo. Chissà invece come se la caverà Benoit David, il canadese che cantava in una tribute band degli Yes e che è stato assoldato per sostituire in tour l'etereo ma malandato Jon Anderson proprio nello storico gruppo progressive. Ma nel mondo della musica, le favole riescono ad avere un lieto fine?
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lunedì 28 luglio 2008

Lightbulb sun


Il sole è una lampadina,

una candela è un piacere

le tende rimangono chiuse adesso

nel mio piccolo ritiro.

E io prenderò le medicine solo

Se sono seguite da dolcetti.

Un liquido rosa e nauseante

Mi fa dormire.

La mia testa pulsa in modo migliore,

Domani sarà un giorno migliore

E io potrò vedere la tv

Mentre sono ben coperto nel letto.

E mamma si assicura che io

Abbia acqua e cibo.

Il mio migliore amico della scuola

Verrà e mi osserverà

All’interno della mia bolla

Di aria piena di germi.

Quando dormo il fumo mi riempie

E sento il calore,

La malattia mi lascia.

Il sole è una lampadina,

Una candela è un piacere

le tende rimangono chiuse adesso

nel mio piccolo ritiro.

Ma dopo un po’

Il rumore dalla strada

Mi fa venire voglia che

Fossi di nuovo in piedi

(Steven Wilson mi ha cullato nel sonno ieri notte)
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domenica 27 luglio 2008

Ancora sui vecchietti del Rock: PFM



Poco prima di tornare in Sardegna per qualche giorno di vacanza (yes, starò qui fino al 9 agosto, prevendita al box office), giovedì scorso sono andato a vedere la gloriosa Premiata Forneria Marconi a Pontassieve, vicino Firenze. Lasciando da parte il fatto che sono entrato gratis insieme ad un paio di centinaia di altre persone (il concerto era in un luogo all'aperto ma - curiosamente - erano finiti i biglietti), è stata la quarta volta che vedevo suonare Di Cioccio, Mussida e Djivas (Premoli si è dato alla macchia), accompagnati dagli ottimi Lucio "Violino" Fabbri, Gianluca Tagliavini e Piero Monterisi. E anche stavolta i nostri hanno offerto uno spettacolo superbo, che ha presentato prima alcune delle canzoni di Faber nello storico arrangiamento del tour 1979 e poi i grandi classici della band.

Tra le cose che ogni volta mi colpiscono, oltre alla straordinaria bravura di questi musicisti, c'è la carica e il feeling delle loro esibizioni dal vivo: suonino in Piazza del Campo a Siena o alla sagra della cozza gratinata di Alberobello, l'unico gruppo rock italiano mai andato in tournee negli Stati Uniti onora sempre l'impegno e ti fa tornare a casa con le orecchie piene di bella musica.

Di Cioccio è uno dei pochi front man della stitica scena rock italiana: canta, si muove, aizza la folla, ha carisma. E continua, a 62 anni, a suonare la batteria da mostro. Quando passa dietro ai tamburi è ancora un terremoto di potenza e precisione. Insieme ai compari Djivas e Mussida (un uomo che probabilmente è nato con le dita incollate alla chitarra), il buon Franz andrebbe clonato e tramandato ai posteri. PFM è il monumento vivente di una stagione irripetibile della musica italiana, quando la creatività e la bravura riuscirono ad integrarsi col senso melodico del Belpaese canterino. Ma erano davvero altri tempi: 35 anni fa avevamo i Genesis e i King Crimson in testa alle classifiche e band italiane come PFM, Banco, Area, Orme, New Trolls (e tanti altri) che nulla avevano da invidiare ai mostri anglosassoni. Oggi trionfano i terribili prodotti televisivi di provincia tipo Marco Carta e Giusi Ferreri o i bambocci Tokio Hotel (con la loro stirpe di cloni industriali), gente di cui nessuno si ricorderà più tra 10 anni. Lunga vita alla PFM.
PS: qui una vecchia intervista che curai anni fa per Kronic.it.



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venerdì 27 giugno 2008

Terribili vecchietti del rock


Ladies and gentlemen, ecco Glenn Hughes e David Coverdale. Sono praticamente coetanei: Glenn è nato nel 1952, David nel 1951. Cantano entrambi, con voci molto diverse. David ha un vocione blues di clamorosa intensità. Glenn ha una voce più aspra ma fenomenale e, per giunta, è un grandissimo bassista.

Nella metà degli anni Settanta furono la benzina della spompata astronave dei Deep Purple orfani di Ian Gillan e Roger Glover. Il primo dei tre dischi che incisero con gli autori di "In Rock" è ancora un classico megagalattico: "Burn", anno domini 1974.

Non durò granchè: i Purple, in piena fase discendente, si sciolsero all'inizio del 1976. Nel frattempo, i nostri amici - due che, in quanto ad ego, mica scherzano - si contendevano il ruolo di prima donna della band. Da quel momento non si incrociarono mai più. David fondò di lì a poco gli Whitesnake, con cui guadagnò ulteriore fama e ricchezza. Glenn ebbe una carriera più errabonda e discontinua, zavorrata dai troppi abusi, ma nell'ultimo decennio è rinato sotto il profilo artistico e umano.

Tutto questo per dire che i due signori che vedete là sopra, ultracinquantenni forse un po' ridicoli nel tentativo di simulare una giovinezza che non c'è più, sono tutt'altro che pronti per la pensione.
Coverdale, infatti, ha ritirato fuori dalla naftalina gli Whitesnake, che sembravano finiti negli anni Novanta, e ha inciso un discone che più classico di così non si potrebbe: "Good to be bad", un distillato di scintillante hard-blues nel solco delle migliori prove del Serpente Bianco. Brani tirati, ballate superromantiche, schitarrate furiose e l'inconfondibile e caldissimo timbro del nostro biondo quasi sessantenne.

Glenn, che per tutti è "the voice of rock", dal canto suo, conserva imperterrito lo stato di grazia degli ultimi dischi. "First underground nuclear kitchen" mantiene le promesse del suo acronimo: funk dalla prima all'ultima nota, impossibile rimanere fermi. Le ritmiche, tra il basso di Hughes e la batteria del Red hot Chili Pepper Chad Smith, pulsano che è una bellezza. E anche in questo caso, il vezzoso cantante/bassista estrae dal cilindro una prova maiuscola per intensità e feeling.

L'unico mio dubbio riguarda la gerontocrazia che si è instaurata anche nel mondo del rock. Come è possibile che i cinquantenni (e oltre) riescano ancora a mettere in riga le nuove band?
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lunedì 23 giugno 2008

Gli idoli dei Gggiovani

La nuova speranza della musica italiana, Dari. C'è bisogno di aggiungere altro? Forse che, pochi giorni fa, l'ho beccato alla tv su All Music. Cantava dal vivo ed era francamente imbarazzante. L'industria musicale italiana è proprio malridotta se cerca di vendere 'sta roba.

"Il cellulare ce l'ho già spento perchè sei troppo sbattimento"... Prego notare il resto della band.

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domenica 22 giugno 2008

Elio e le Storie Tese - Ignudi fra i nudisti

La canzone non è tra le cose più memorabili degli Elii. Ma il video, ancora una volta girato dal mitico Maccio Capatonda, è una piccola perla. Il finale è geniale!

Ps. Una curiosità: il brano è la versione al contrario di questa canzone di Elvis.

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lunedì 16 giugno 2008

In un uggioso pomeriggio fiorentino...

E tre. Ritentiamo l'avventura del blog per la terza volta. I miei precedenti esperimenti si sono arenati dopo poche settimane: ci vuole troppa costanza per portare avanti uno di questi affari. E la costanza non è una di quelle doti che mi distinguono.
Ma proviamoci one more time: musica a palla (i vetusti Uriah Heep nel loro ultimo sforzo discografico), il criceto che cerca una più idonea posizione per dormire, le nuvole che mi fanno passare la voglia di andare a nuotare anche oggi.
In teoria si inaugura un blog con una sana dichiarazione di intenti. O così ho sempre pensato. La cosa mi ha sempre messo in difficoltà: se prometto che farò una cosa, dovrò farla. Ma poi, regolarmente, non ci riesco. Così l'unico programma che posso fare per questo blog che non verrà letto da nessuno è: sarai la mia valvola di sfogo. Scriverò delle cose che leggo, che ascolto e che faccio per lavoro. Un po' di cazzi miei, insomma. E che vada avanti finché avrò voglia.

(Intanto Media Monkey mi propone i Black Widow e io, pacatamente serenamente, faccio gesti apotropaici).
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