
Un illeggibile pezzo sul concerto che Ligabue ha tenuto ieri a Cagliari. Cortesia dell'Unione Sarda e di una giornalista - che non nominerò - che pensa di essere una scrittrice stilosa e invece dovrebbe semplicemente mettersi a fare un qualsiasi altro mestiere tranne quello di scrivere sui giornali.
A fare ancora e sempre Reggio, Liverpool, Memphis, Nashville; e Radio Clash da casello a casello; e un bell'impasto di lambrusco e sudore, succede che stanotte il concerto è qui, nella solita Fiera brutta con l'asfalto brutto che se cadi ti grattugi le ginocchia (ma tant'è, perché l'abbiamo detto troppe volte e perché tutto cambi, in questa Cagliari di gattopardi, tutto deve restare com'è). Insomma, il concerto è qui eppoi il concerto è fuori: fuori sul cavalcavia sopra lo stadio, fuori sul cofano delle macchine parcheggiate sghimbesce tra muro e marciapiede, fuori sugli alberi del viale e sul balcone, se ce l'hai.
Perché quando non hai trentacinque euro per pagare il biglietto, allora Ligabue te lo ascolti come puoi - e ti aggrappi alla cancellata della Fiera e con una mano tieni la tua fidanzata e con l'altra una birra fredda di ghiaccioli di borsa frigo. E magari non lo vedi, anzi: non lo vedi, però te lo immagini, Ligabue: ecco, cammina leggero sul palco rock di psichedelie argento; ecco, stringe i pugni contro il cielo; ecco, graffia le corde e graffia la vita. Allora sono attimi e secoli, lacrime e brividi, e tu, baciami la fortuna, baciami le parole che sai già, baciami il sangue mentre gira, canti - canti mentre con una mano tieni la fidanzata e con l'altra la birra ché in questi anni terribili che tutto costa e anche un concerto diventa un privilegio, la musica supera la barriera di un registratore di cassa e la travolge e va veloce e ti arriva forse anche più forte; mentre il basso batte il ritmo del cuore.
E allora a fare ancora e sempre Reggio, Liverpool, Memphis, Nashville, succede che dentro o fuori, ti ritrovi ancora qua: e a fare la conta sei tu e altri ventimila, a cantare di nuovo questo rock, a ballare sul mondo, ad afferrare i sogni con una mano e a stringerli con l'altra. E Ligabue che trascina parole rotonde lo sa cosa deve fare: e lo fa bene. Allora quelle venti canzoni, le sue, le più buone, diventano un'unica morbida scia, una striscia invitante talmente accogliente da perderci il fiato - e che sia quel che sia. E mentre una ballerina vola, e Ligabue stringe uno specchio per riflettere fede speranza carità, quello schermo grande come tre stanze più salone ti racconta i primi dieci articoli della Costituzione Italiana. E sarà questa notte femmina, sarà questo rito pagano e sanguinolento e liberatorio che si chiama concerto, sarà la musica, ma mai il diritto alla vita e al lavoro e al rispetto è sembrato così giusto e così poesia.
Eppoi via, Ligabue, dentro o fuori, facci urlare contro il cielo, e con le tue risposte fatte in casa promettici che andrà bene, nonostante tutto. Perché la musica di Ligabue è tagliata su misura per uno, nessuno, centomila, fatta com'è di parole che sanno di buono e si scompongono all'infinito nel vortice di un relativismo da Bar Mario. Canzoni che sembrano fatte per me - ti convinci mentre canti, in questa notte che pare un peccato che non ci siano le zanzare della Bassa. Ma si convince mentre canta anche quello a fianco e quell'altro ancora e ancora e ancora, chè la forza della banda viene fuori, ballando dietro il groove, ballando in mezzo agli orrori. Libera nos a malo, e così sia.
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