martedì 23 settembre 2008

Senza titolo (per ora) - 4

L’improbabile equilibrio venne spezzato da quello che era il classico parto di uno sceneggiatore hollywoodiano a corto di idee: preceduto da una serie di tonfi sordi, un autobus irruppe sulla scena. Abbatteva i cadaveri che gli si paravano davanti come un ubriaco al volante avrebbe fatto coi cartelli stradali. Non vedevo chi c’era alla guida, ma il mezzo era uno di quei classici pullman arancioni che l’azienda di trasporti pubblici metteva sulle linee più trafficate. Erano così scalcagnati che ogni volta che prendevano una buca nell’asfalto, capivi come si sentivano a Baghdad quando incappavano in una mina. Una volta, durante uno dei frequenti sobbalzi gentilmente offerti dalle groviera che chiamano strade, battei la testa sul tetto del bus tanto forte che mia madre, vedendo il bernoccolo, voleva cacciarmi di casa convinta che mi fossi finalmente rivelato come figlio del diavolo (e l’aveva sempre sospettato).

Comunque perfino un cretino come me, che non avevo la patente, poteva intuire che l’autista del bus fosse poco pratico nella guida di un mezzo così grande. Alla prima sterzata, per evitare il disco volante, per poco non finì a tutta birra sulle pompe di benzina. Alla controsterzata, mancò tanto così che non finisse ruote all’aria e si trasformasse in un succulento piatto di carne in scatola per gli zombi superstiti. I gorilla approfittarono della confusione per rientrare nella navetta e chiudere il portellone di carico. Non sapevo se commuovermi perché, in tutto quel merdaio, io e gli scimmioni spaziali avevamo convenuto che la cosa migliore fosse nascondersi in attesa di tempi migliori.

I morti dimenticarono i gorilla e si incamminarono verso l’autobus che continuava a sgommare nello spiazzo del distributore come un’automobilina sulla pista elettrica. I casi erano due: o al volante c’era un loro amichetto ex autista che faceva appello ai suoi neuroni fritti per ricordare come guidava oppure c’era un cretino a cui era andato in pappa il cervello e aveva deciso di fare Grand Theft Auto dal vivo prima di schiattare. La prospettiva di una comitiva zombesca che si muoveva in autobus mi faceva sorridere. Cosa avrebbero cantato durante il viaggio? Quel mazzolin di fiori / che sta sulla mia tomba?

Ad ogni manovra diventava sempre più chiaro che neanche uno zombi coi riflessi di un cervo impagliato avrebbe potuto guidare così male. Era solo questione di tempo perché, tra una sterzata di qua e una ripartenza a fil di pensilina di là, succedesse quello che pensavo.

Ecco, appunto: il motore dell’autobus, che rantolava come mia nonna con l’angina, si spense. Come sempre, senza fretta ma inesorabili, i morti che ancora deambulavano raggiunsero il bus e lo circondarono. I vetri erano troppo sporchi e c’era troppa poca luce perché capissi chi stava al volante. I futuri gitanti colpivano con manate insistenti ma impotenti le fiancate del mezzo: avevano il tonno in scatola ma nessun modo per aprire la lattina. Anche uno scimpanzè intontito da dieci anni di zoo e cibo lanciato dai turisti avrebbe escogitato un sistema per mettere le mani su quella bella carne viva e calda, ma col cervello infiltrato dagli scarafaggi non potevi architettare granché. Nel frattempo, il disco volante dei gorilla si era alzato di qualche metro da terra e galleggiava nell’aria in silenzio.
Avevo una bruttissima sensazione e iniziai a sentirmi come un topo in trappola.

(4 - continua - qui la prima, la seconda e la terza puntata)

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