martedì 7 ottobre 2008

Senza titolo - 6

(Continua da 1 - 2 - 3 - 4 - 5)
L’ignoto autista aggiunse una ripetuta sfanalata di abbaglianti e una bella accelerata. Il club del cubo di Rubik aveva ancora il suo bel daffare con la scala, mentre il disco volante si mosse leggermente, quasi a cercare di capire dove fossero finiti gli zombi. Dal finestrino del bus una manina mi fece cenno di avvicinarmi. Aggrappandomi al sostegno dell’insegna del bar riuscii a saltare giù senza rompermi niente e corsi verso l’autobus.

Successe tutto velocemente. Salii dalla porta centrale, che si richiuse nel momento stesso in cui il mezzo ripartiva a razzo verso l’uscita dallo spiazzo. Un gruppetto di zombi abbandonò il rompicapo e puntò verso di noi. Il disco volante sparò qualcosa contro l’edificio dietro il quale erano ancora radunati gran parte dei morti.

Esplose il bar e, pochi secondi dopo, prese fuoco e saltò per aria il serbatoio sotterraneo del distributore. Sembrava un botto da film americano, con fuoco e fiamme alti fino al cielo e una colonna di fumo nerissimo. Il caro, vecchio pullman arancione era già a distanza di sicurezza quando si scatenò l’apocalisse.
«Ale, brutto minchione, volevi giocare a nascondino con quei bruttoni?», mi apostrofò dal posto di guida una voce che conoscevo. E che odiavo.

Il mio salvatore, infatti, era noto all’universo mondo come “il signor so-tutto-io”. Io e Silvio eravamo stati compagni alle scuole medie e un paio di volte, per suggellare la grande amicizia che ci legava, eravamo rimasti in classe dopo la fine delle lezioni a lanciarci banchi e sedie a causa di qualche sgarro. Il bastardo una volta mi colpì alla coscia con una sediata e zoppicai per una settimana. Non essendo granché nelle scazzottate scolastiche  - ero più bravo a filarmela che a dare pugni – mi gustai i classici fallimenti che costellano la strada di un tredicenne: l’interrogazione andata male, il compito in classe col voto più basso del tuo, la più carina della classe che non lo calcolava neppure di striscio (io ero direttamente fuori classifica, categoria “scherzi della natura”). Soddisfazioni molto più miserabili di un bel cazzotto sul naso, lo confesso. Ora eravamo diventati compagni di avventura/sventura. Quasi quasi avrei preferito i morti.

«Guidi quest’affare come uno storpio», furono le mie prime parole. Così, per partire subito col piede giusto. In tutta risposta grugnì. Mi aspettavo che mi facesse scendere da un momento all’altro, possibilmente vicino a un bel gruppetto di cannibali cenciosi. Il disco volante dei gorilla ci passò sopra, velocissimo. Andava nella nostra stessa direzione, verso il porto. Sembrava di essere in giro la notte di Natale, ma senza luminarie e senza piacevole sensazione di pancia piena causa cenone. Era tutto spento: lampioni, insegne, case. 

Silvio andava bello spedito, attento ad evitare le macchine abbandonate in mezzo alla strada o diventate rifugio di qualche cadavere affamato. In tutto quel buio, le uniche luci accese erano quelle dei semafori: rosso-verde-giallo, rosso-verde-giallo, qualcuno arancione. Attraversammo veloci piazza San Benedetto e notai con la coda dell’occhio un tizio fermo a guardare il semaforo all’incrocio.

(Continua - 6)

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